Addio a Bonaldo Giaiotti la voce del Friuli

Si è spento a Milano, a 85 anni, il grande basso verdiano. Le origini a Ziracco e il successo al Metropolitan di New York

Si è spento ieri nella sua casa di Milano, a 85 anni, il basso friulano Bonaldo Giaiotti. Un malore, ma soprattutto «crepacuore – suggerisce il musicologo Rino Alessi che al grande cantante aveva dedicato il volume “Bonaldo Giaiotti, la voce del Friuli” –. Bonaldo non si era rassegnato alla morte della moglie Alice Weinberger, con cui formava una coppia solidissima. In ottobre se ne era andata la metà di Bonaldo – conclude –: ora se ne va la metà di Alice».

Giaiotti era stato a fine marzo a Udine in occasione della presentazione del volume alla Filologica e la consegna di una medaglia alla Provincia. Anche a Cavarzere dove il 20 aprile scorso durante la settimana dedicata al direttore d’orchestra Tullio Serafin, con cui Giaiotti aveva debuttato all’Arena di Verona nel 1963, aveva ricordato Serafin con grande partecipazione e affetto. Ed era sembrato in grande forma. «Ma – conferma il basso e direttore del Piccolo Festival del Fvg in calendario a partire dai primi di luglio, Gabriele Ribis – il dolore per la perdita di Alice, lo aveva provato profondamente: Bonaldo non sarebbe stato il basso Giaiotti, affermato in tutto il mondo, se non avesse incontrato a New York e sposato Alice».

Ribis in questi anni è stato molto vicino a Giaiotti, grazie a un incontro avvenuto in occasione di un concerto «sperduto nella pianura friulana – ricorda – nel quale sostituivo il suo amico e collega Alfredo Mariotti. E lì è nata la nostra amicizia, cementata, poi nel 2012, quando per i suoi 80 anni avevo organizzato a Ziracco, paese cui era legatissimo e che portava nel cuore, un concerto con cantanti friulani in suo onore. “Non mi scorderò mai il regalo che mi hai fatto”, mi disse».

Considerato «l’ultimo vero basso tonante di scuola italiana», così il maestro Nello Santi che lo volle nel 2006 al Massimo di Palermo per “Turandot”, ultima recita di una carriera pluriquarantennale, iniziata alla fine degli anni ’50 a Milano, Giaiotti ha affrontato i ruoli più importanti e impegnativi per un basso: da quelli verdiani - del Don Carlo, del “Nabucco”, de “I vespri siciliani”, dell’“Ernani”, di “Macbeth”, del “Trovatore”, del “Rigoletto”, di “Simon Boccanegra” – a quelli wagneriani in “Lohengrin”, “Parsifal”, “Tannhauser”, al Mefistofele del “Faust” di Gounod… «Non per i grandi ruoli ieratici. Non aveva una fisicità imponente – ancora Ribis –, ma in scena sapeva dare corpo e anima ai grandi ruoli ieratici. E poi la voce che arrivava dappertutto, un’emissione potente, la sua, che non conosceva ostacoli». Era un innamorato del canto, Giaiotti, tanto che, a carriera finita, si è molto generosamente prodigato a trasmettere quello che aveva imparato: «Ha sempre aiutato i giovani per spirito di trasmissione dell’arte lirica senza alcun tornaconto», conclude Ribis.

Una generosità che gli derivava da un’infanzia povera, in quel di Ziracco, dove ragazzetto cantava in chiesa e faceva il falegname; e dove fu notato da una signora che lo presentò alla maestra di canto udinese Ada Krainz. Studiò quindi a Trieste e poi a Milano. Durante una recita a Vigevano di “Lucia di Lammermoor” con Piero Cappuccilli fu sentito da un collaboratore del direttore del Metropolitan di New York Rudolf Bing, il quale Bing lo scritturò al Met dove debuttò nel 1960 come Gran Sacerdote di Belo nel “Nabucco” di Verdi. Da qual momento la carriera di Giaiotti prese il volo e fece di lui «il più grande basso verdiano del ‘900», come unanimemente riconosciuto da pubblico e critica.

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