Al Palamostre arriva “Luisa”, il simbolo delle fragilità
Lo spettacolo della ballerina Valentina Dal Mas ha vinto il Premio Scenario Periferie 2023

Movimenti segmentati, carichi di poesia, in cui risuonano parole ora confortevoli ora grevi atte a raggiungere una dimensione dell’umano profonda e lacerante, così potente da vegliare sull’anima fragile della protagonista. Attraversa una partitura corpo-voce, Luisa, una creazione di e con Valentina Dal Mas, danzatrice e coreografa under 35, in scena Oggi, sabato 29, alle 20.30 al Teatro Palamostre, con il suo spettacolo vincitore del Premio Scenario Periferie 2023, nucleo di Generazione Scenario il più importante osservatorio nazionale sulla creatività emergente italiana.
Luisa nasce dall’incontro dell’autrice con una fragile donna di nome Luisa, che in scena “cuce sé stessa all’aria che la circonda … e lambisce i confini della sua Terra Promessa fino a squarciarli battagliera come La Libertà che guida il popolo di Delacroix.” «Ho conosciuto Luisa in un contesto di cura – racconta Valentina – e mi sono immediatamente innamorata di lei. Non ho mai voluto dichiarare la sua vulnerabilità per fare in modo che il collegamento a Delacroix non fosse in termini di libertà bensì di fragilità. Luisa è la custode, la portabandiera di tutte le fragilità umane. Il suo movimento segmentato fatto di lunghe pause, il suo modo di essere nel corpo e nell’espressione del volto risuonano nello spettacolo e io tento di farmi trapassare da lei».
Danzatrice e attrice formatasi in Italia e a Parigi con maestri del calibro di Carolyn Carlson, Nina Dipla e Alexandre Del Perugia, lavora per la Compagnia Abbondanza/Bertoni dal 2014 e per La Piccionaia – Centro di Produzione Teatrale – dal 2016. Interpreta La Morte e la fanciulla, Premio Danza&Danza nel 2017 come “migliore produzione italiana”, lo stesso anno le viene conferito il Premio Scenario infanzia per lo spettacolo Da dove guardi il mondo? Espande la sua professione all’ambito socio-educativo e ai contesti di cura, sviluppando un personale metodo d’insegnamento, e gli incontri nati in quei luoghi ispirano drammaturgie complesse atte a trascrivere in forma poetica un tessuto emotivo che si intreccia all’autenticità del processo artistico.
«Una poetica a fiume senza dighe che scorre verso il mare», così definisce la sua modalità di scrittura, un atto sincero di reciprocità tra parola e gesto, intimità e pulsione vitale volto a interrogarsi sulle potenzialità dell’arte quale elemento di riscatto, di trasformazione e di immedesimazione. «Sento che si sta creando un’unione forte tra la mia attività di autrice e la mia esperienza in questi luoghi a contatto con la fragilità, un’unione che tiene insieme il mio lavoro. Mi accorgo mentre danzo che mi è rimasta traccia di coloro che incontro e a volte proprio senza volerlo resta in me il segno di fragili umani, si attiva qualcosa che non penso concettualmente e intellettualmente, come dire che non provo a essere qualcuno ma accade. Ci sono microcosmi straordinari in queste persone, anche a livello coreografico tanto da farmi sentire di desiderare di mettermi nella loro pelle. E spesso lo faccio in forma giocosa. Mi risuona qualcosa nel cuore e nella mente. La dimensione del fiume che scorre e arriva al mare aperto senza dighe rispecchia il collegamento di queste mie due dimensioni». —
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