L’albero nel cortile, un romanzo che racconta una saga contadina nella bassa friulana

Il libro scritto da Gabriella Grassi narra le vicende dei Clementin tra Ottocento e Novecento

Tra memorie di famiglia, le due guerre e le epidemie

Fabiana Dallavalle
L’albero nel cortile di Gabriella Grassi. Edizioni Biblioteca dell’immagine
L’albero nel cortile di Gabriella Grassi. Edizioni Biblioteca dell’immagine

Una saga contadina, tra Ottocento e Novecento, che si svolge in quell’angolo di Bassa Friulana dove vive da secoli la famiglia Clementin. è quella che racconta Gabriella Grassi in L’albero nel cortile (Edizioni Biblioteca dell’Immagine). Una terra agra e complessa, teatro delle vicende dei quattro fratelli che incontriamo a Murusis una mattina di settembre del 1845.

Miu, Pepi, Checo, e lo sfortunato Antòn, sono coloni dei conti Cassis; allo scadere del contratto si dividono andando a lavorare per possidenti diversi, senza però perdere il forte legame che li unisce. Le vicende dei Clementin corrono attraverso un secolo, mentre i loro gesti operosi si ripetono nei campi e nelle case, nei cortili e nelle stalle. Su di loro si abbattono le piaghe delle epidemie, come il colera del 1855, e delle guerre, come quella che nel 1914 porta i nipoti di Checo sui vari fronti, dall’Europa Orientale a Caporetto

«L’albero nel cortile – racconta l’autrice – è un romanzo basato sulle memorie di famiglia, supportate da ricerche storiche e d’archivio da me svolte per descrivere la storia del mio ramo familiare materno, i Clementin. Le vicende narrate hanno inizio con un aneddoto che si riferisce a metà ottocento, e si dipanano attraverso un secolo. I ricordi familiari e la certezza genealogica e storica offerta dagli archivi mi hanno permesso di far rivivere i personaggi chiaramente, mentre si muovono in un luogo preciso della Bassa Friulana: Terzo di Aquileia e le sue frazioni, a cominciare da Murussis, antico borgo sede di avamposto veneto in terra arciducale».

«Il paesaggio – prosegue Gabriella Grassi – è evidenziato anche attraverso la descrizione dei mutamenti avvenuti fin dalla seconda metà del ’700, quando era stato oggetto della bonifica voluta dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. I Clementin hanno un’affinità naturale con questo paesaggio, ed è a metà romanzo che se ne può scoprire l’intensità: «"Checo non conosceva altro modo di concepire la vita se non attraverso l’avvicendarsi delle stagioni sulla terra che aveva calpestato, odorato e a volte anche assaggiato, una terra che aveva arato, seminato, e su cui aveva bestemmiato, ma più spesso ringraziato il Signore”».

Il libro inizia quando Checo e i suoi fratelli: Miu Pepi e Antòn, coloni dei conti Cassis, vivono ancora sotto lo stesso tetto. In seguito dovranno trovare ognuno una sistemazione per conto proprio, pur continuando a mantenere lo stretto legame che li unisce. «Seguendo la vita di Checo scopriamo la sua forza nel risalire dalle tante disgrazie personali e dagli avvenimenti della storia che influiscono sulla sua vita: guerre, carestie, epidemie e non ultima l’emigrazione. A sostenere la dura vita di questi contadini c’è un forte senso di appartenenza, un modo di rapportarsi ai fatti della vita che vede il suo fulcro nei legami profondi fra i membri della propria famiglia, ma anche nella collaborazione con le altre del territorio».

«Viviamo in tempi difficili e guerre più o meno vicine ci colpiscono coi loro orrori, mentre i cambiamenti climatici minano le nostre certezze –afferma l’autrice – Ma guardando al passato possiamo scoprire quante difficoltà hanno attraversato i nostri antenati, ed è soffermandoci sul loro coraggio contro le avversità, di cui siamo l’esito più concreto, che può e deve emergere la nostra forza oggi». —

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