Bianchini, un viaggio nel giallo con “Il cuore è uno zingaro”
Lo scrittore torinese presenta il libro di Mondadori: appuntamento domenica 9 giugno alle 20 alla Loggia del Lionello di Udine per La notte dei lettori

Luca Bianchini, con un certo anticipo rispetto ai trionfi non certo annunciati di Jannik Sinner, ci trascina in Alto Adige, a Bressanone, sfruttando la maniera a lui più congeniale: la scrittura. Stavolta sotto forma di giallo, una seconda prova immersiva nel delitto dopo il successo di “La moglie ha sempre ragione”.
L’autore torinese del ’70 e di un certo appeal nazionale e internazionale — ricca è la biblioteca a sua firma, tredici volumi — con “Il cuore è uno zingaro” (Mondadori) sfida, come lui stesso ammette, «un colosso della narrativa noir qual è Agatha Christie. Scelsi proprio lei per imparare. Se devo farlo busso alla porta della migliore, così pensai».
Questo per dirvi che stasera, domenica 9 giugno, alle 20, a cura de “La notte dei lettori” sotto l’udinese Loggia del Lionello, Bianchini chiacchiererà col pubblico di quest’ultimo tomo, stimolato dalle domande di Oscar d’Agostino, responsabile delle pagine della cultura del Messaggero Veneto e della giornalista Martina Delpiccolo, la direttrice del festival.
Luca, il titolo rievoca una nota melodia anni Settanta di Nicola di Bari. Una dedica precisa?
«C’è un motivo, certo. Uno dei protagonisti del romanzo, tale Gabriel Manero, musicò un celebre motivo che fece palpitare due giovani quarant’anni prima, ovvero il maresciallo pugliese Clemente e la moglie Felicetta saliti da poco sin lassù per onorare il mestiere di lui, ovvero assicurare i delinquenti alla giustizia».
Quindi, nella stesura, è stato guidato dallo spirito di Agatha?
«Sebbene imposi a me stesso di trasporre il tutto in un habitat contemporaneo e con un tocco di narrazione veloce e divertente, mi piace credere che chiunque dei personaggi sia sospettato. Il condimento, poi, coinvolge realtà regionali: il bilinguismo, gli altoatesini e i sudtirolesi e qualche napoletano oltre ai pugliesi. Adoro mescolare le carte, amo l’alto e il basso, preferisco sempre l’equilibrio difficile, anche nella vita».
Il giallo è un genere gettonatissimo, che sfocia spesso nei telefilm per la tv. Perché, secondo lei, il popolo chiede intrighi e sangue?
«Piccola premessa personale: cominciai a infilarmi dentro questo colore letterario durante la pandemia. Non potendo fare determinate ricerche fuori mi dedicai alla fantasia. Detto ciò, grazie alle trame oscure dei libri usciamo dalla realtà, un ottimo sistema per staccare col mondo facendoci coinvolgere da una sorta di vena enigmistica, da un game show, ecco. E soprattutto chi scrive deve avere il potere di sorprendere sempre il lettore».
A proposito della categoria lettori, appunto, come vede la situazione attuale? I libri si fanno vendere, abbastanza a quanto si sa, ma poi vengono letti o usati come soprammobile sul comodino?
«La gente legge poco, in verità. Nemici sono il temibile cellulare, dal quale in tanti non si privano mai, le serie televisive che ti risucchiano con facilità e, ora, si è aggiunto pure il podcast. Di fronte a questo esercito ipnotico non c’è storia. L’unica arma è cercare di scriverli molto e bene ’sti romanzi, i saggi, i fantasy o i noir che dir si voglia. Secondo statistiche attendibili si dedica alla lettura chi abita in provincia è adulto e soprattutto donna. I trentenni, quarantenni e cinquantenni adorano le serie delle piattaforme. Molti amici di quella fascia d’età hanno acquistato i miei titoli, ma dubito siano stati esaminati. Forse un venti per cento».
C’è un nuovo fenomeno: i prodotti delle celebrità.
«Mancava quello, infatti. I personaggi famosi fanno vendere e attirano i curiosi alle presentazioni. Mica li scrivono loro. La cosa che mi indispone è che tanti bravi novellieri restano al buio per mancanza di considerazione. Cambiamo argomento, valà, altrimenti mi piglia lo sconforto».
Ok, Bianchini. Tre delle sue opere — “Io che amo solo te”, “La cena di Natale” e “So che un giorno tornerai” — hanno cambiato contesto, diventando film. Non sempre la trasposizione piace agli autori.</CF>
«La collaborazione con il mio amico Marco Ponti ha fatto sì che non ci fossero incomprensioni e, a parte, certi attori scelti per le parti minori a me poco graditi, hanno funzionato molto bene. Per il terzo, intitolato “Nessuno come noi” ho solamente dato il consenso».
L’altra vita di Luca Bianchini è la radio. Lei è una felice scoperta di Fiorello, dico bene?
«Da un’ospitata a Viva Radio 2 è germogliata una nuova collaborazione con il secondo canale Radio Rai. Ora sono su Rai Radio 1. Un mezzo elegante, la radio, raramente ti tradisce».
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