Bleiburg, massacro titino che imbarazza i croati

Settant’anni fa un caso foibe coi prigionieri ustascia. Zagabria evita il raduno di ultra-destra
Di Marco Di Blas

Bleiburg è un piccolo comune della Carinzia a due passi dal confine sloveno. In Italia quel nome non dice nulla. Ma per la Croazia, invece, è il ricordo di una ferita profonda e mai rimarginata che dura da 70 anni. Qui, nel maggio del 1945, ebbe inizio quella catena di crimini di guerra perpetrati dalle truppe partigiane di Tito nei confronti degli ustascia croati, dei cetnici serbi e montenegrini, della popolazione slovena non comunista della Carinzia, colpevoli (non tutti) di collaborazionismo con la Germania nazista e con l’Italia fascista.

Si erano arresi senza condizioni agli inglesi, che avevano occupato la Carinzia, ma questi a loro volta li avevano consegnati all’esercito di Tito. Erano seguite esecuzioni di massa, talvolta dopo processi sommari o addirittura senza alcun processo. I cadaveri di quelle vittime avevano riempito foibe e miniere dismesse da Bleiburg a Maribor. Le ricerche condotte dalla Slovenia, dopo il dissolvimento della Federazione jugoslava, ne avevano individuate oltre 600.

A Bleiburg è stato eretto un monumento «in onore dei caduti dell’esercito croato», divenuto meta annuale di pellegrinaggio. Finché esisteva ancora la Jugoslavia comunista vi giungevano soltanto croati emigrati all’estero. Dopo la frantumazione delle federazione sono incominciati a giungere anche molti cittadini della nuova Croazia indipendente. Quest’anno, nel settantesimo del massacro, i partecipanti sono stati addirittura 30 mila.

Alla cerimonia, trasmessa in diretta dalla tv croata, ha partecipato il vescovo di Dubrovnik, Mate Uzinic, che ha celebrato una messa di suffragio. La neoeletta presidente Kolinda Grabar-Kitarovic, che aveva annunciato la sua partecipazione, ha preferito invece rendere omaggio ai caduti di 70 anni fa privatamente, giungendo a Bleiburg con qualche giorno di anticipo.

Una scelta, quella della Grabar-Kitarovic, sintomatica di quanto la memoria dell’eccidio fa resti problematica, nonostante il tanto tempo trascorso. È un po’ quel che accade con le vittime triestine e goriziane delle foibe, sulle quali si stenta a costruire una memoria condivisa, perché le tragedie del maggio 1945 non possono prescindere dagli orrori compiuti da italiani e tedeschi nei Balcani negli anni precedenti.

A Bleiburg non è in discussione il massacro compiuto dai titini - le centinaia di fosse comuni sono un documento incontestabile -, ma la strumentalizzazione che può esserne fatta, soprattutto da neosimpatizzanti del regime ustascia, tanto da indurre il deputato austriaco dei Verdi Albert Steinhauser a definire la cerimonia di Bleiburg «il piú grande raduno fascista dell’Austria». Forse per questo la presidente croata ha ritenuto opportuno prenderne le distanze: ha reso omaggio alle vittime del ’45, ma evitando coinvolgimenti con chi ancor oggi rimpiange un capitolo della storia croata che è stata all’origine di quel massacro.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto