Buttafuoco racconta l’arcitaliano: vita, morte e miracoli di Berlusconi

L’autore di Beato lui: «La sua esistenza è stata una lunga e avventurosa performance»

Gianpaolo Polesini
Il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco presenta il libro “Beato lui”
Il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco presenta il libro “Beato lui”

PORDENONE. Beato lui. Già. «Beato lui senza malinconia, senza rimpianti, senza più gelosia. Beato lui con un affollarsi di gente radunata in piazza in attesa di vederlo sbucare. Come ha cambiato lui tutti, forse solo la minigonna di Mary Quant».

In realtà «Silvio godeva del privilegio ambito da tanti: vivere la vita di Berlusconi».

Il libro, appunto, Beato lui — Panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi (Longanesi editore) è finito sugli scaffali a gamba tesa, diremmo così se parlassimo di calcio, assieme al Cavaliere che in giugno si rese conto di non essere immortale.

La firma è prestigiosa: quella di Pietrangelo Buttafuoco. Giornalista, scrittore — il suo primo libro risale al 2005, Le uova del drago — uomo di teatro, conduttore tv, un personaggio eclettico che decise, un bel giorno, di occuparsi dell’ex premier trovandosi spettatore di una scena talmente evocativa da non trovare il coraggio di lasciarla morire senza uno scritto da consegnare al futuro. «La fermata dei bus in via Plebiscito è restituita alla città — alla Capitale — ed è il primo segnale», è l’incipit del racconto.

Due gli incontri in programma venerdì 15 settembre: alle 18 nella sala maggiore della Camera di Commercio di Trieste (l’autore sarà presentato dal direttore de “L’Identità” Tommaso Cerno e sempre nella stessa giornata, ma alle 21.30, nello spazio San Giorgio di pordenonelegge con Paolo Mosanghini, direttore del “Messaggero Veneto”.

Buttafuoco, ci racconta come avvenne questa scintilla letteraria? Un improvviso desiderio di narrare, con la brillantezza che le è propria, vita, morte e miracoli del protagonista della nuova commedia all’italiana?

«Caso vuole che il mio ufficio si trovi a Palazzo Grazioli. Un pomeriggio scesi le scale e vidi nel cortile una flotta di furgoni che stavano caricando la mercanzia del Cav., mentre una bella signora bionda osservava attenta quel traffico composto. Stava per concludersi un’epoca. Titolai quella scena “Ultimo tacco a Palazzo Grazioli”, che poi è anche il nono capitolo del libro. Quella sera decisi di dedicarmi seriamente a lui, costruendo l’opera come fosse un saggio di critica letteraria».

Dietro quel “Beato lui” si nasconde un pizzico d’invidia?

«La consideri un’invidia benevola, solamente una forma d’immedesimazione. Come se chiunque di noi fosse proiettato, per un attimo, in un’altra dimensione. Beato Lucio Battisti e le sue dieci donne, beato Enzo Ferrari circondato da magnifiche automobili, ad esempio».

C’è un Italia prima di Berlusconi e un’Italia con Berlusconi. Cerchiamo le differenze?

«Silvio ha sicuramente introdotto una figura nuova: quella dell’individualismo nella politica che è notoriamente il luogo della collettività per eccellenza. Da quel momento in poi qualunque partito ha cercato di sistemare ai vertici una guida carismatica».

E lei Pietrangelo come lo ha vissuto il Cavaliere?

«Mi sono ritrovato ad assistere a uno spettacolo ricco di sorprese continue; per questo trovo riduttivo limitare il racconto alla sola politica, essendo stata la sua esistenza una lunga e avventurosa performance».

Con l’avvento di Mediaset la Tv subì una rottura improvvisa. Ma la Rai, invece di conservare la sua storia, s’intestardì d’inseguire il mood delle reti popolari.

«Diciamo che la stagione di allora, un po’ dappertutto in Europa, fu travolta dalla televisione commerciale. Sicuramente in Italia Berlusconi contribuì a dare una spallata alla tradizione».

Un uomo assai generoso, scrive nel suo libro. Un pomeriggio regalò 400 milioni di lire a una signora che aveva entrambi i figli malati.

«Era talmente innamorato di se stesso che mai avrebbe potuto tradire il suo amore. La consistente liquidità gli consentì gesti ad altri preclusi, ma — si sa — a volte i milionari hanno braccia cortissime. Lui, no».

Chi lo raccontò meglio al cinema? Moretti col “Caimano” o Sorrentino con “Loro”?

«Io direi, senza dubbio alcuno, Franco Maresco col film Belluscone-Una storia siciliana. Con Ciccio Mira, Ficarra e Picone, Tati Sanguinetti. Uscì in sala nel settembre del 2014. Il migliore in assoluto e il più vero».

Che Italia è, adesso, senza il signor B.?

«Questo Paese è sempre lo stesso e pronto a sfornare individui assoluti. In Berlusconi c’era qualcosa di Garibaldi, qualcosa di Totò, qualcosa del Duca Valentino. Silvio è quello che si riconosce nella strofa di Curzio Malaparte: “L’arcitaliano non ha paura della legge di natura, anzi, talvolta egli corregge la natura della legge”».

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