Capitalismo o comunismo: l’Italia poverissima scelse

Settant’anni fa la scelta di campo: nasceva la Prima repubblica  e s’instaurava il sistema bipolare. Un ricordo ormai remoto

Con le elezioni del 18 aprile 1948 finiva in Italia la Seconda guerra mondiale, nasceva la Prima repubblica e il sistema bipolare basato sulla contrapposizione Dc-Pci che sarebbe durato mezzo secolo. Sono passati settanta anni, eppure sembrano settanta secoli. In un’Italia poverissima e disseminata dalle macerie della guerra nasceva, per la prima volta, in modo compiuto, una democrazia politica. Dopo vent’anni di fascismo e cinquanta di Stato liberale, dal quale le masse popolari erano state escluse, oltre 29 milioni di italiani e di italiane furono chiamati a votare per il primo Parlamento della Repubblica. Due anni prima, nel 1946, la scelta per la Repubblica nel referendum era stata netta (54%), ma non travolgente, e nelle contestuali elezioni per l’assemblea costituente se la Democrazia cristiana aveva raggiunto il 35%, i due partiti di sinistra, quello socialista e quello comunista, nel complesso si erano avvicinati al 40% delle preferenze. Nel frattempo una cortina di ferro stava scendendo sull’Europa: la divisione tra il blocco capitalista e quello comunista. E l’Italia, dove la Resistenza al nazi-fascismo, guidata dal Partito comunista, era stata fortissima, doveva scegliere in che campo stare.

La campagna elettorale fu uno scontro ideologico durissimo. Nell’estate precedente era finita l’esperienza dei governi di unità nazionale sorti nella guerra e socialisti e comunisti non erano entrati nel terzo esecutivo De Gasperi, ormai filo-americano. Era la fine dello spirito costituente e la sinistra aveva deciso di unirsi, creando il Fronte Popolare, con esplicite ambizioni di vittoria. Le due macchine elettorali avevano il proprio motore nei partiti: 800 mila iscritti e 8.500 sezioni la DC, 2 milioni e 200 mila iscritti, 8.700 sezioni e 36 mila cellule il Pci. Ma la Democrazia cristiana aveva una base e un supporto ben più capillare e diffuso: quello delle parrocchie e dei sacerdoti italiani, chiamati a raccolta per la “crociata” contro lo spettro del comunismo e dell’ateismo dai giornali cattolici e dalle gerarchie vaticane

Le prediche domenicali e soprattutto quelle pasquali (28 marzo) ospitarono indicazioni dettagliate su come votare e soprattutto su chi non votare. Il parroco di Claut segnalava che se avessero vinto i comunisti lui sarebbe stato impiccato, la chiesa distrutta, i bambini sarebbero stati mandati in Siberia e «il sangue sarebbe corso a torrenti per le strade». Quello di Tarcento, tanto per rimanere in Friuli, fece invece più semplicemente sapere che i bambini dell’orfanatrofio erano stati comunque messi in salvo. Socialisti e comunisti ribatterono accusando i preti e la Chiesa di affarismo e ruberie, e contrapponendo alla figura di Cristo l’immagine salvifica di Garibaldi, ma il confronto e gli argomenti, come si può ben capire, non reggevano. Gino Bartali accettò di fungere efficacemente da testimonial democristiano mentre dall’altra parte un incerto, sfuggente (e cattolico) Fausto Coppi, invece, rifiutava. Mentre i volantini cattolici utilizzavano ampiamente la simmetria Togliatti = diavolo, l’Avanti si arrischiava a definire De Gasperi come «maligno, fegatoso, fanatico».

In un Paese senza tv e in cui, in alcune regioni, il tasso di analfabetismo superava ancora il 30%, le principali forme di comunicazione furono i comizi e i manifesti. Non pochi furono gli episodi di violenza politica. Molti sacerdoti e religiosi furono aggrediti e in alcuni casi si arrivò all’omicidio politico, soprattutto al Sud, dove la mafia contribuì a eliminare vari sindacalisti. Numerosi furono gli incidenti in occasione dei comizi del partito neofascista, l’Msi. A rinfocolare gli animi, le voci di un piano K comunista, che sarebbe scoccato in caso di vittoria democristiana, e che avrebbe visto l’intervento jugoslavo se non sovietico. Fortissima la tensione soprattutto sul fronte orientale, dove viene costituita l’Organizzazione O che mobilita migliaia di uomini contro il pericolo di invasione jugoslava e nei giorni del voto si tenne pronta, armi in pugno.

Le elezioni si svolgono tuttavia in un clima sostanzialmente tranquillo. La Dc stravinse con il 48,5% dei voti e il Fronte popolare prese un misero 31%. Gli altri partiti poco o nulla. Iniziarono quindici anni di dominio pressoché incontrastato della Democrazia cristiana, contrassegnati dall’adesione al Patto Atlantico, dalla ricostruzione e dal boom economico. Il Pci e le classi operaie e impiegatizie che rappresentava verranno messe ai margini del governo del Paese, al quale avrebbero contribuito per altri versi e in altri modi. La demonizzazione dell’avversario progressivamente si stemperò, la forma-partito si istituzionalizzerò, la cattolicissima società italiana si secolarizzerò. Sani e salvi, gli orfani di Tarcento sono cresciuti senza guerra, trovando facilmente lavoro e godono ora di una meritata pensione.

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