Caro Pasolini, caro Sciascia Quel dialogo tra intellettuali

Gli atti del convegno sul rapporto tra i grandi scrittori «Erano due laici attratti dalla dimensione del sacro»
Giuseppe Mariuz

Giuseppe Mariuz

Che cosa univa e che cosa divideva Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia? Dall’epistolario tra i due grandi intellettuali del Novecento italiano sappiamo che si stimavano e si amavano per le rispettive produzioni letterarie, nonostante la lontananza degli stili. L’uno vibrante, lirico, profetico, l’altro asciutto, limpido, sarcastico ed erudito. Li accomunava invece la ricerca della verità in un paese ove prevaleva la doppiezza ed entrambi erano insofferenti verso tutti i conformismi.

Erano laici, non credenti, ma attratti da miti e riti, dalla dimensione del sacro, accomunati da una idea drammatica del cristianesimo. Vedevano nel Vangelo la scelta della povertà, la radicalità, amavano la bontà che si manifestava nelle persone candide, semplici e ingenue; si sentivano vicini a contadini e braccianti, a chi lavorava nelle zolfare e nelle saline.

Erano coscienza della nazione, critici del potere, impegnati in senso civile ma refrattari ad allinearsi a programmi di partito, intrattabili per il ceto politico. Ultimi esemplari forse di intellettuali che rivendicavano la propria autonomia di giudizio e il principio di contraddizione, che non rassicuravano di certezze i loro lettori e che sono stati poi sostituiti da professionisti della comunicazione dipendenti dal mercato.

È stato presentato a Casarsa il libro “Pasolini e Sciascia. Ultimi eretici, curato da Filippo La Porta per l’editore Marsilio, che raccoglie gli atti di un convegno tenuto dal Centro studi Pier Paolo Pasolini nel 2019, decimo della collana dei Quaderni. Il libro raccoglie dieci relazioni di studiosi che trattano i rapporti fra i due intellettuali da diverse angolazioni. Citiamo Daniela Marcheschi che sottolinea il binomio inscindibile di verità e letteratura, Andrea Cortellessa che sullo stesso tema parte dal “romanzo delle stragi” per giungere alla “fuga dei fatti”.

Guido Vitiello descrive la beffarda incarnazione dell’”Io so” pasoliniano divenuto compendio dei misteri d’Italia, mentre Bruno Pischedda ricorda come Pasolini e Sciascia abbiano promosso entrambi l’autocoscienza del loro pubblico. Altri relatori preferiscono insistere su ciò che divideva i due autori, pur legati da stima e amicizia.

Così, Ricciarda Ricorda commenta le differenze tra i due “eretici” rievocando però una comune estraneità al potere; Giuseppe Traina si sofferma sulla loro “visione delle cose italiane”, mentre Roberto Andò osserva come Pasolini e Sciascia interpretassero diversamente l’intreccio tra vita e scrittura. Davide Luglio tratta di “ragione e potere” nella visione dei due autori e Roberto Chiesi affronta le alchimie fra letteratura e cinema.

Alla serata di presentazione del libro, moderata da Cristina Savi, dopo gli interventi della presidente del Centro Studi Flavia Leonarduzzi, della sindaca di Casarsa della Delizia Lavinia Clarotto e del presidente degli Amici di Leonardo Sciascia Valerio Cappozzo, il curatore Filippo La Porta ha svolto un’ampia relazione in cui ha sottolineato alcuni aspetti fondamentali del pensiero dei due autori, come la difesa delle istituzioni e della democrazia, fondamentale per entrambi quantunque mediocre ed esposta a rischi autoritari, nonché la loro avversione, sia pure contraddittoria e problematica, per le avanguardie.

Interessante il giudizio sull’eredità che i due intellettuali ci lasciano. Secondo La Porta, per alcuni versi Sciascia sembra più attuale di Pasolini perché riguarda laicamente la propria coscienza personale e non l’ideologia, per altri versi meno attuale perché Pasolini getta il proprio corpo sofferente ed esibito e la sua stessa esistenza mettendola a rischio dentro la critica del mondo. —



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