Caterina d’Amico ricorda la madre Suso, la “gran signora” del cinema italiano

Appuntamento giovedì 11 maggio alle 18.30 in Confindustria a Udine. «Una persona intelligente, curiosa, pratica e allegra»

Elena Commessatti
Suso Cecchi d’Amico insieme ai figli, Masolino, Silvia e Caterina a Santa Marinella nell'estate del 1951
Suso Cecchi d’Amico insieme ai figli, Masolino, Silvia e Caterina a Santa Marinella nell'estate del 1951

«Mia madre mi ha sempre trasmesso una grande serenità. Parlava poco, era ironica, e le sue battute facevano sorridere», parla così la figlia Caterina, raggiunta prima dell’incontro di Udine (giovedì 11, alle 18.15, in Confindustria), di sua madre, la sceneggiatrice Suso Cecchi d’Amico, “la gran signora” del miglior cinema italiano; ci stiamo riferendo ai tanti film, ad esempio con Visconti, Monicelli, Antonioni, Rosi, alle collaborazioni letterarie con Ennio Flaiano e Cesare Zavattini, solo per attingere a qualche riferimento, ma l’elenco è lungo e assai celebre.

Di più: attualmente anche rievocata nel recente libro edito da Einaudi “La bella confusione” di Francesco Piccolo, dove Suso è protagonista di un universo-mondo targato 1963 insieme a Claudia Cardinale, Marcello Mastroianni, Tomasi di Lampedusa, Burt Lancaster, Camilla Cederna, Pier Paolo Pasolini.

E su tutti i due big del cinema: Federico Fellini e Luchino Visconti, “sublimi avversari”, come scrive Piccolo, a causa dei coevi Otto e mezzo e Il Gattopardo. Caterina, figlia di Fedele D’Amico, storico e critico musicale e di Suso, e a sua volta lei stessa protagonista di un curriculum prestigioso, come saggista, autrice, archivista (è responsabile scientifico degli Archivi di Luchino Visconti e di Franco Zeffirelli), preside per vent’anni della Scuola Nazionale di Cinema del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, giovedì sarà ospite dell’Università Popolare Udinese. Il tema biennale desiderato dalla presidente Francesca Medioli sono le donne, e per Caterina il titolo è dato: “Le signore dello schermo: Suso Cecchi d’Amico e le altre.”

Ma chi sono le altre? «Innanzitutto mia nonna» ci risponde, «Leonetta Cecchi Pieraccini (1883-1977), pittrice, che già in vita pubblicò ricordi assai pregevoli. In quanto pittrice era un’osservatrice notevolissima. Nei suoi diari descrive plasticamente la realtà, e questo credo che abbia aiutato sua figlia, mia madre, ad educarla allo sguardo. Chi scrive per il cinema scrive per qualcuno che guarda».

Un approccio anomalo alla scrittura, quello di Suso, «non supportato da una vera vocazione», annota Caterina. Fa sorridere questa osservazione, pensando ai risultati lasciati. Nell’intensa biografia di Suso c’è la malattia del marito, la tubercolosi, la lontananza del coniuge in un sanatorio svizzero dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e c’è una giovane mamma con due figli piccoli costretta dalla vita a trovare urgentemente lavoro. (In quel tempo Suso diede pure lezioni di galateo all’attrice Maria Michi, o insegnò inglese a Giovanna Galletti, entrambe interpreti di “Roma città aperta” nel 1945).

«Mia madre era una persona intelligente, curiosa, pratica, che con grande allegria imparava le cose e si concentrava per farle al meglio. Basta vedere come ricamava… Mentre si disinteressava nel modo più totale della cucina. Non ha mai cucinato in vita sua».

La tecnica della sceneggiatura si affinerà per Suso negli anni, all’interno dell’intreccio tra letteratura e vita familiare. Un gruppo di donne, e che donne: la sorella, le figlie, le nipoti poi, e la tata! «Fosca era la tata, toscana. Intelligente, pratica; Fosca e mia madre condividevano la serenità, erano donne forti».

«Mia madre lavorava in casa per essere vicino alla necessità affettive delle persone di famiglia». E le amicizie femminili? «Pochissime, forse perché si è trovata a lavorare sempre con uomini. Ai suoi tempi le professioniste nel cinema non c’erano, e dunque ha sviluppato rapporti di complicità con registi uomini. Il suo carattere sereno credo l’abbia aiutata nei rapporti con i colleghi. L’unica regista donna con cui ha lavorato è Lina Wertmüller. E poi, certo, Cristina Comencini, sua allieva».

E le altre? «Ricorderei Anna Magnani, Silvana Mangano, donne di valore con delle sacche di sofferenza, e la costumista Bruna Parmesan, “la grande amica” di mia madre».

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