«Checco Zalone, l’anti-satiro e noi lo amiamo per questo»

Un instant book, di quelli scritti mentre si sta surfando. Non prima, durante. Per Gianni Canova, il cinemaniaco che su Sky ci spalanca le porte della conoscenza cinematografica, l’aver riunito pagine di assoluta sostanza (e questo lo diciamo noi) su Checco Zalone «è stata un’urgenza - spiega - se non altro per contrastare l’ondata di pressappochismo e di bla bla che si levò appena l’uomo divenne personaggio. Tutti si presero a cuore il grande balzo, sentendosi in dovere di spiegarlo, causando, così, un confuso ed enorme vocio».
Sgorga così da Sagoma editore l’illuminato saggio (assicurata una sorpresa a capitolo, dateci fiducia) Quo chi? Di cosa ridiamo quando ridiamo di Checco Zalone, in mostra al “Modena Buk festival” e sugli scaffali delle librerie.
Un’analisi che si rivela essere una sorta di fenomenologia alla Eco, quando fu Mike Bongiorno a inchiodare l’Italia dei Cinquanta davanti alla Tv. E lo diciamo con una comprensibile malinconia. Ma, in realtà, è così. «Troppo onore - e ringrazia - lui è il maestro».
Lo scavo è più profondo di quel che s’immagina.
Non saltate dentro l’errore di considerare superficiale un comico. Far ridere è l’arte più audace.
«E se quasi dieci milioni di italiani si scomodano per andare al cinema, quando è più economico starsene davanti al televisore, c’è davvero da chiedersi perché. E subito. Zalone usa una comicità orizzontale, dopo il lungo dominio di quella verticale. Mi spiego: la barzelletta e la satira sono verticali, ovvero prevedono un rapporto impari fra i soggetti. Chi racconta ha il potere. Berlusconi rappresenta il barzellettiere e Grillo il satiro, lo dico per meglio comprendere i contorni dei ruoli. E il popolo che fa? Subisce l’autorità del narratore, è ovvio. Zalone, invece, ha la magnifica capacità di auto distruggersi assieme al sistema e ciò, inevitabilmente, provoca affetto».
Gianni si chiede: Checco non è Totò, non è Troisi e non è nemmeno Fantozzi. E allora, chi è?
«Una maschera della tradizione è fuori di dubbio che fa figura a sè. È Gennaro Nunziante, con un suo racconto, a rendere più luminoso il cammino. Il regista ricorda, quand’era piccino, le code infinite fuori il teatro quando Eduardo tornò a Napoli. Qualcuno si portò dietro pure il letto. Ecco, Zalone è figlio di Scola, anche di De Sica, se vogliamo. O meglio, è la versione pop degli grandi».
Una cosa ci è chiara: Nunziante/Zalone - lo sottolinea in rosso Canova - non si affidano al caso.
«Ci mettono due anni, provando e riprovando ogni centimetro del copione e finché ogni singola battuta non esce da un collaudo severissimo, non passa. Che ciò istighi la gioventù al sacrificio. Il successo è sudore».
E Luca senza Zalone? Lei lo conosce, Canova. «È uno abituato a stare a terra. Ed è pure un bravo papà. I pannolini li cambia lui alla bambina. Mi creda: c’è differenza fra chi lo fa e chi no».
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