Cinquecento anni fa il primo editore: Aldo Manuzio l’inventore di libri

«Se si maneggiassero più i libri che le armi, non si vedrebbero tante stragi e tanti misfatti, tante brutture, tanta insipida lussuria»: Aldo Manuzio, uomo di ideali condivisibili da ogni persona di buon senno, diceva così perché credeva che i buoni libri potessero evitare all’umanità la barbarie. Ma la sua grandezza sta anche nel progetto di una precisa linea editoriale che coniugava la sua profonda cultura - prima di creare libri era infatti uno stimatissimo insegnante - con l’efficace, moderna, faticosissima attività imprenditoriale di editore (e non di semplice tipografo), davvero all’avanguardia a cavallo fra Quattro e Cinquecento; e per questo, come Marzo Magno titola la sua ultima fatica edita da Laterza, egli fu “L’inventore di libri” (sottotitolo: Aldo Manuzio, Venezia e il suo tempo).
Inventore, sì, perché, come spiega l’autore: «I libri c’erano anche prima ma erano diversi, erano oggetti che noi oggi riconosceremmo a stento. Il titolo, il nome dell’autore, il frontespizio, il tipo di caratteri, la numerazione delle pagine sul fronte e sul retro, l’indice, il formato tascabile, i segni di interpunzione nel volgare italiano, la marca editoriale (ricordiamo il motto di Manuzio “Festina lente”, ovvero “affréttati lentamente”, e il disegno che intreccia la stabilità di un’ancora con la velocità di un delfino)... questi e altri aspetti del libro come noi oggi lo conosciamo portano la firma di Aldo Manuzio». Ma perché, allora, Manuzio non è collocato tra i grandi del Rinascimento? «In effetti – sostiene Marzo Magno – quel posto gli competerebbe, eccome: dovrebbe stare accanto a Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, a tutti i personaggi che hanno segnato un’epoca. Per questo non è fuori luogo chiamarlo, al pari di altri grandi artisti che tutti conosciamo, solo con il suo nome di battesimo: Aldo, perché nel suo campo fu davvero un sommo artista. Ci basti ricordare, a questo proposito, il “Polifilo”, un vero e proprio capolavoro tipografico».
Lo scenario è soprattutto quello dell’indiscussa capitale europea della stampa, Venezia, ma non solo. Originario di Bassiano, nella campagna laziale, Aldo si trasferì nella Dominante probabilmente per esigenze didattiche, quando ancora non aveva deciso di fare il tipografo e l’editore, e intrecciò con la città una storia d’amore intensa e contrastata. Amò di più, però, Ferrara e Carpi, e poi Marzo Magno ci parla in modo preciso, denso, ma al tempo stesso agile e discorsivo, anche di città quali Roma, Mantova o Milano, riportando peraltro episodi stimolanti e curiosi della vita del protagonista e qualche notizia inedita, nel quadro di anni assai difficili per motivi bellici, politici e sanitari. Aldo coltivò inoltre fitti rapporti con i più illustri intellettuali dell’epoca (Erasmo da Rotterdam in primis) che spesso proprio da lui si servivano e che ritroviamo con piacere nel libro. Inevitabilmente, non tutto è chiaro della sua vita: «Non sappiamo bene, ad esempio, quanto egli abbia avuto a che fare con posizioni eterodosse preliminari alla Riforma protestante né quanto abbia influenzato l’opera di Pietro Bembo, un altro personaggio tutto da riscoprire per il grande pubblico, né per quali esatti motivi non portò a compimento il proposito di stampare anche in ebraico, oltre che in greco, latino e volgare».
Comunque sia, Aldo ha dato molto a Venezia e molto ha ricevuto. Tuttavia, non sempre gli viene corrisposto il dovuto merito, e l’autore si chiede: «Perché a Venezia non c’è un museo del libro e della stampa? Dove altrimenti dovrebbe essere?». In effetti, ci si potrebbe pensare proprio in questi tempi di emergenza e di crisi: perché certamente servono prevenzione, presidi sanitari, cure e vaccini; ma servono, tanto più nelle difficoltà, e più di quanto in genere si creda, cultura e buoni libri. —
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