«Con la Mangano ho vestito la perfezione»

Roberto Capucci sabato a villa Manin parla dell’unico film cui prestò la sua arte: “Teorema”. «Pasolini era classe pura»

CODROIPO. «Arrivò da solo. Voce leggera, poche parole, profondo senso del rispetto... Insomma: classe. Gran classe». Chiedetegli di Pasolini: Roberto Capucci, gigante della moda italiana e internazionale, esordirà con qualcosa di simile. Qualcosa che rimanda all’incipit della sua unica - per scelta ben precisa - avventura filmica, la creazione degli abiti indossati da Silvana Mangano in Teorema, celebre pellicola pasoliniana, appunto. «Mi ha segnato, quell’esperienza, tanto da indurmi a non cercare repliche: sarebbe stato impossibile toccare di nuovo l’apice, la perfezione. Di eventi straordinari non se ne vivono mai due di fila... e io aborrivo l’idea di copie sbiadite. A chiunque mi ha proposto collaborazioni ho risposto che un’altra Mangano, in Italia, non c’era».

Trasporto totale, quello che lo stilista dimostra verso una delle perle del suo passato professionale: potrete coglierlo dal vivo sabato pomeriggio, a villa Manin (alle 17), perché proprio sul rapporto con «Pier Paolo, e Silvana Mangano, e Danilo Donati» (ma non solo) verterà la chiacchierata fra Capucci - ospite d’onore della residenza napoleonica, nella cornice della mostra dedicata al famoso costumista - e il critico Massimiliano Capella, che tratteggerà una panoramica sull'intreccio moda-cinema. «Sono davvero curioso - commenta l’artista - di vedere l’allestimento: con Danilo ci ammiravamo a vicenda; lui adorava la mia produzione, io la sua. Lo conobbi per il tramite di Franco Zeffirelli, che un giorno mi chiamò per annunciarmi una visita di Oliva Hussey, cui avrei dovuto confezionare la veste di scena per Romeo e Giulietta; l’avrebbe accompagnata, mi accennò, Danilo Donati. E lui, Danilo, si premurò di avvisarmi preventivamente: "Se vedrà alla porta un ciccione vestito male e un po’ unto non lo cacci via... sarò io". Era spiritosissimo, nonché, ovvio, un genio assoluto. Siamo diventati molto amici, nel tempo: aveva un fascino incredibile. Puro, semplice, sorridente. I suoi abiti erano... "vivi", tanto ne curava la preparazione e i dettagli. Mi ha ripetuto spesso che l’unico regista che gli dava soddisfazione era Pasolini».

Lavorare con quest’ultimo, e con Silvana Mangano, era il sogno nel cassetto di Capucci. «Fu per tale motivo che nel momento in cui Franco Rossellini, nipote di Roberto, mi propose un incontro con Pier Paolo rimasi di sasso. Quando poi, in una seconda fase (vittima dell’emozione mi ero dimenticato di domandare chi fosse l’attrice protagonista), seppi che avrei abbigliato la Mangano mi prese un accidente. C’erano solo due cose che ritenevo mi mancassero, nella mia professione - vestire Silvana e conoscere Pasolini -, e le avevo incredibilmente ottenute entrambe. Lo raccontai al maestro, che replicò: "Capucci, tutti i desideri che lei cova si concreteranno, presto o tardi, se sono profondi e non plateali, di facciata"».

La diva non deluse le aspettative del decano degli stilisti italici: «Ah! Molto piú bella e affascinante nella quotidianità che nelle pellicole. Un’eleganza innata... e una riservatezza che, all’inizio, mi mise in difficoltà. Lo confidai a Pasolini. Suggerí: "Rompa lei il ghiaccio, per primo, e scoprirà una donna straordinaria". Era vero. Mi ha talmente influenzato che, ripeto, non ho piú voluto realizzare alcun costume per il cinema».

Nessun tentennamento. Quando Capucci decide non torna indietro. È una delle caratteristiche che gli hanno permesso di costruirsi una carriera sfolgorante: 64 anni, dei suoi 83. Le rende omaggio un documentario di prossima uscita: «Lo hanno girato per dodici mesi, ora mi risulta sia finito. Si intitola La moda proibita (perché quello che ho creato è, effettivamente, uno stile difficilissimo!) e racconta la mia attività, che per me è forza, energia... e che è sempre venuta prima di tutto il resto: quando disegno sono come in trance». Guarda indietro, Capucci (ma pure avanti: vena propulsiva inesauribile), e conclude: «Sí, ho fatto esattamente la vita che volevo. Che felicità».

Lucia Aviani

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