Con quel monarca l’Italia ha già saldato i conti

Il 9 settembre 1943 lasciò il Paese allo sbando,  un comportamento alla stregua del tradimento

Al rientro della salma di Vittorio Emanuele III in Italia da più parti, opposte, si è lamentata la presunta incapacità del Paese di fare i conti con il proprio passato. In primis dai Savoia, che vorrebbero che la salma del re delle due guerre mondiali fosse addirittura accolta nel Pantheon, l’edificio di proprietà dello Stato italiano.

Poi da chi ritiene che il gesto sia un atto di semplice pietà umana, che una nazione in grado di fare i conti con il passato debba ormai accettare. E infine anche da chi, ricordando le colpe del “re soldato”, ne vorrebbe tenere le spoglie fuori dal suolo della repubblica.

Da tempo, in realtà, gli storici sono giunti a un’interpretazione sostanzialmente condivisa della figura del terzo re d’Italia.

Salito al trono trentenne, Vittorio Emanuele III condusse una politica estera di espansione coloniale (guerra di Libia) e sostenne l’irredentismo senza tuttavia riuscire ad assegnare alla monarchia quel ruolo politico unificatore in grado di ricucire la spaccatura che si aprì nel 1914, e che avrebbe segnato la condotta in guerra dell’Italia fino al 1918. Mentre le sue responsabilità relativamente al primo governo Mussolini sono da condividere quanto meno con i popolari e i liberali che gli concessero la fiducia, tutta sua è la firma apposta sotto le leggi fascistissime del 1925-26 che trasformarono il Regno d’Italia in una dittatura.

Egli seguì acquiescente il fascismo nella guerra d’Etiopia 1935-36 e nel progressivo avvicinamento di Mussolini a Hitler che condusse alla pagina infausta delle leggi razziali (1938) con le quali egli rinnegò l’appartenenza alla nazione di un gruppo di italiani, gli ebrei, che furono prima discriminati e quindi, durante la guerra, consegnati a un Paese straniero.

La sua subordinazione politica e psicologica a Mussolini portò l’Italia all’invasione dell’Albania, all’entrata in guerra a fianco della Germania e all’aggressione di un Paese neutrale, la Grecia. Egli ebbe certamente un ruolo nella caduta del fascismo nel luglio 1943, ma la sua fuga a Pescara il 9 settembre 1943 dopo l’Armistizio lasciò il Paese allo sbando, oltre metà del territorio nazionale fu occupato e centinaia di migliaia di soldati italiani furono internati dai tedeschi.

Un comportamento, quello del re che abbandona il Paese allo straniero, considerato sin dal Medioevo alla stregua del tradimento.

Particolari importanti della sua biografia rimangono da studiare e approfondire, ma i conti con la figura di Vittorio Emanuele III sono tutti qui.

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