Corea del Sud come Sparta: i deboli esclusi dall’élite

Una singolare fusione fra rigidità e meritocrazia spezza gli equilibri esistenziali dei teenager sudcoreani sul principio del cammin della vita.
Proprio quando spunta l’adolescenza, la generazione in passeggio sulla striscia contaminata che potrebbe traghettarli all’università (o verso l’oblio), non se la passa spavalda come i nostri. Nessuna bevuta esagerata, pochissimi fuori pista arditi concessi alla gioventù davanti al Suneung, un’autentica ossessione. L’esame degli esami - e detto così non sprigiona affatto tutto il terrore che in realtà trattiene - significa élite o morte sociale.
Nemmeno a farlo apposta oggi al Feff il file di Reach for the Sky finirà alle 13.45 in macchina così da spalancare qui in Occidente finestre coreane come sapete spesso socchiuse. Choi Woo-Young e Steven Dhoedt, nel loro documentary in coproduzione belga, hanno misurato la febbre della competizione che incattivisce i diciottenni. Chiusi i libri dell’obbligo, lo studente si ritrova ai piedi di una muraglia difficile da saltare con un agevole balzo.
«La società coreana - ci spiega Darcy Paquet, consulente del Far East e docente universitario - è impietosa, contempla metodi medievali e spartani, eppure il sistema vuol essere democratico, e, in fondo in fondo, lo è. Ovvero: dà a tutti la possibilità di gareggiare.
Chi ce la fa ha quasi la certezza di emergere, altrimenti sa con altrettanta precisione di essere stretto in un limbo senza grandi respiri. Vivacchi, consapevole di non diventare mai uno che conta. Il Suneung è un brutta bestia: matematica, inglese e coreano richiedono preparazioni sontuose, anni e anni di soffocante avvicinamento all’ora X». Chi lo supera, pochissimi, hanno il pass per la Sky University (Seoul National Korea Yonsei), il non plus ultra nazionale. Uscire da quell’accademia significa lavoro, altrimenti chissà. «La disoccupazione è alta - racconta Darcy - e nonostante ciò le new generation accettano i destini piuttosto pacificamente.
Esistendo una barriera netta fra chi ce la fa e chi no, si potrebbe pensare a rivolte continue per la supremazia, ricchi contro poveri, per dirla semplice. Be’, certo, la hight class ha più chance per condurre i propri figli verso la consacrazione. Scuole prestigiose, preparazione accurata, maestri privati. Democrazia, certo, ma tutti uguali non sono. Vince il migliore, però. Lo sprono è alto».
Il paradosso è evidente, volendo alimentare il confronto Italia-Corea. I giovani sudditi di Park Geun-hye, seppure inchiodati da questa rogna non trascurabile, se si spezzano le reni forse ce la fanno. Anche da noi i ricchi qualche vantaggio in più ce l’hanno, ma se idioti arrivano ugualmente in cima. I coreani idioti restano idioti e basta. Il potere se lo scordano pur facendo le capriole legati.
Adesso chiediamoci con limpida onestà qual è la consuetudine più corretta. L’ideale sarebbe un po’ di corda meno tirata da loro e un po’ di più da noi. Vedere certi capaci italiani sopravvivere nel fango e certi sfigati italiani vivere di gloria, ti vien da dire: viva la Corea.
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