Corsetti nuziali del '700 e completi maschili dell'800: quando l’abito fa il collezionista

La raccolta dell’udinese Alessandra Linda: «Tutto è cominciato 20 anni visitando il Museo di Barcellona, sono rimasta folgorata: ogni vestito racconta una storia»

Possiamo accarezzare con lo sguardo un corsetto nuziale del Settecento con i cuori o un gilet da uomo tutto ricamato del 1770 o un abito italiano dell’800 a strisce nere e viola... Sono solo alcuni dei pezzi della collezione dell’udinese Alessandra Linda.

«È iniziato tutto vent’anni fa durante un viaggio in Spagna - ha raccontato - anche se devo dire che mi sono sempre interessata alla storia, al suo aspetto visivo, per esempio ho sempre prediletto i ritratti... Comunque mi trovavo a Barcellona e sono andata al Museo dei tessuti e costumi che allora non versava in buone acque e si appellava alla gente perché andasse a visitarlo. Ne rimasi folgorata. A colpirmi furono gli abiti del primo Settecento con la loro varietà di colori e tessuti, racchiusi in teche, ma esposti come dei tableau vivant e le loro dimensioni molto piccole. Due giorni dopo è iniziata la mia collezione».

Alessandra, infatti, gironzolando per il centro, trova un negozio che vende accessori per abiti antichi, per i quali lei ha sempre avuto un debole. Entra dentro. Il proprietario capisce che non è la classica turista e le chiede se vuole vedere qualcosa di speciale. La traghetta verso una scala semi-nascosta e lì Alessandra scopre i tesori più preziosi del negozio, acquistando un abito da viaggio in seta pesante e lana dalla tonalità marron caramello...

«Sono tre pezzi. Giacchetta con i bottoni davanti così la donna poteva vestirsi da sola e le maniche strette, - da questo particolare probabilmente l’abito risale al 1865 perché negli anni Cinquanta le maniche erano a pagoda - la sottogonna e la gonna e un grembiule con nastri e decorazioni».

Anche se Alessandra adora soprattutto il Settecento, non disdegna né il secolo successivo e neppure gli anni Venti, «anche se di questo periodo è molto difficile trovare abiti integri perché tutti i ricami con perle di vetro venivano fatti su tessuti leggeri che nel corso degli anni si sono deteriorati».

Alessandra gira nei mercatini delle pulci, partecipa a qualche asta, c’è il passaparola, compra dai privati...

«Il mondo dei collezionisti non è esteso. Ci sono i grandi musei e i commercianti che poi rivendono a noi. Nelle aste anche se ti aggiudichi un pezzo, i musei applicano il diritto di prelazione. Per esempio l’estate scorsa a un’asta, il Museo delle arti decorative di Parigi si è aggiudicato un abito da corte in seta color giallo con jacquard trovato a Lione. Questi sono pezzi inarrivabili per me, 150mila euro! So che lo stanno restaurando per poi esibirlo».

Allargando la collezione, Alessandra però ha incominciato a essere insoddisfatta. L’abito è sempre accompagnato dagli accessori, cappellini, borsette, calze, scarpe, ventagli, che hanno un mercato a parte, biancheria intima..

«In tempi recenti ho dovuto rinunciare a un paio di scarpe del 1720 con il loro sottosuola perché costavano davvero troppo e a un abito da corte».

Lo sapete che gli abiti settecenteschi delle classi agiate erano soprattutto di seta e tra l’altro una seta molto diversa rispetto alla nostra, più sottile, resistente e croccante?

«Fu Marco Polo a introdurre in Europa i bachi da seta, ma nella prima metà dell’800 ci fu una moria di quei bachi e ne furono importati altri da cui oggi la nostra seta. Comunque nella confezione dell’abito non comandava il tessuto, dipendeva dalla tipologia dell’abito e dal periodo storico. Il cotone nel ‘700 per esempio è più difficile da trovare, deve essere importato, quindi il costo del materiale con la sua lavorazione lievitano il prezzo. Si facevano anche delle sperimentazioni: usavano insieme lino e seta, lana e seta, ma siccome i tessuti hanno diverse acidità, oggi un tessuto di questo tipo si apre. La lana invece veniva usata per i coprispalla, per foderare le giacche. Le colorazioni erano naturali, nell’800 invece si iniziarono a usare i colori chimici. Anche l’arsenico per ottenere quel verde bottiglia molto bello ma che uccideva chi lo indossava!».

Nessun Worth per il ‘700. Gli abiti venivano commissionati alle sarte o alle lavoranti di casa. L’unico nome che è passato alla storia è quello di Rose Bertin la stilista di Maria Antonietta.

«Sono estasiata dagli abiti di questo periodo. Sono dei veri e propri capolavori, perché se li guardate attentamente molti sono un lavoro di cesello. Tante stoffe diverse, fatte combaciare, con dei punti quasi invisibili. Oggi è sempre più difficile trovare l’abbigliamento settecentesco. Perché è passato molto tempo, tante cose vengono buttate via oppure si sono deteriorate perché non sono state conservate bene. Mentre nell’800 i pezzi più belli venivano regalati ai preti per i loro paramenti. A Venezia c’è una signora che compra abiti antichi e poi li taglia per fare paralumi!».

A Trieste, invece, grazie a un passaparola, dopo lo sgombro di una soffitta Alessandra è riuscita a comprare il contenuto di un baule di vimini. C’erano abiti da donna degli anni Venti, da bambini, c’era un giubbottino per il Bar mitzvah, i kippah... Insomma era parte del guardaroba di una famiglia ebrea.

«C’era anche un bellissimo ventaglio con il manico in osso decorato e sopra vi era applicato uno specchietto».

Una volta che si acquisiscono questi tesori, vien voglia di conoscere la storia di quell’abito, a chi apparteneva, quando veniva indossato, se era stato indossato per una situazione particolare.

«Queste purtroppo sono informazioni, a meno che non ci siano dei discendenti, che si perdono nel tempo e nella memoria. Anche la moda ti permette di entrare nella storia e se distruggi la storia di un abito, se dimentichi chi sei stato, come puoi aver rispetto del presente?».

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