Cristicchi: «Stiamo per vivere un grande cambiamento, il mondo va reinventato»

Piero Negri

Fumettista (da ragazzo), cantautore (un Sanremo vinto, nel 2007, con “Ti regalerò una rosa”), scrittore, autore e attore teatrale, direttore dello Stabile d’Abruzzo, Simone Cristicchi, 42 anni, è anche organizzatore del festival Narrastorie, dal 19 agosto a Arcidosso (Grosseto).

È la quarta edizione, finora lui aveva scelto il basso profilo, forse per far crescere meglio il suo «festival del racconto di strada”.

Che cos’è “Narrastorie”?

«Un laboratorio di ricerca, un’isola del racconto. Un paese di 4 mila persone che per una settimana si trasforma in un approdo di cercatori di bellezza. E un appuntamento estivo per famiglie, metà del programma è dedicato ai bambini. La novità quest’anno è la tematica spirituale, con persone a me care che nel pomeriggio parlano della felicità, della morte, della religione, della bellezza. E la sera spettacolo con Mogol, Arisa, Moni Ovadia, Valentina Lodovini, Andrea Rivera».

Pensa che oggi ci sia interesse per i temi dello spirito?

«C’è da parte mia. Poi sì, sono temi molto importanti in un momento in cui si fa tabula rasa di tutte le convinzioni e si riparte dalle poche cose che contano. Io vorrei creare un oasi a forma di punto interrogativo».

È legato al suo spettacolo teatrale?

«Manuale di volo per uomo, il primo in cui faccio l’attore e basta, interpreto un personaggio. Racconto della trasformazione di un dolore, di come, per dirla con il teologo Ermes Ronchi, una ferita può diventare una feritoia».

I suoi personaggi, anche nelle canzoni, sono outsider.

«L’outsider, il borderline, il matto mi affascinano perché ci interrogano. Come ti relazioni con loro? Sei come certi cattolici bigotti che vanno a messa e poi non aiutano il povero, il migrante?».

Conferma che, pur avendo grande interesse per la fede, fatica ad aderire a una religione organizzata?

«A “Narrastorie” ho invitato il monaco ortodosso, il buddista, il cristiano. La religione dovrebbe risvegliare l’essere umano, trasformarlo, aiutarlo ad aderire al mondo. In Italia la Chiesa è in crisi di vocazioni, ha conventi ed eremi ma sono vuoti. Eppure c’è fame di spiritualità, di spazi di silenzio, di riflessione. Ad Arcidosso scommetto su questa fame, sento che c’è voglia di guardarsi dentro».

Tra muri e decreti sicurezza, l’attualità direbbe altro.

«Ma questo è l’ultimo stadio di una fase storica che muore. Stiamo per vivere un grande cambiamento, anche antropologico, un’onda della storia, una catastrofe, che in greco significa distruzione ma anche apertura verso mondi tutti da inventare. È un grande momento per reinventare il mondo».

Si capisce che lei è uno che studia: ci suggerisce qualche maestro, ma vivente?

«Ho un paio di nomi: don Luigi Verdi, sacerdote cattolico che opera nei pressi di Arezzo, alla Fraternità di Romena, dove accoglie chi sta attraversando una crisi. Un sacerdote sui generis che prende la saggezza contadina e la mixa con il Vangelo. E poi Marco Guzzi, di Roma, filosofo. C’è da ripensare tutto, il rapporto con la religione, la Chiesa. È l’apocalisse, la politica non sa più essere maestra di felicità, e mancano i punti di ritrovo, ci è rimasto il teatro».

In cui tornerà a novembre. Con quale spettacolo?

«Si chiama “Happy Next”, come il documentario che ho realizzato intervistando 200 persone. A tutti ho chiesto: cos’è la felicità? Ho avuto 200 risposte diverse».

Come la porterà sul palcoscenico?

«Sto scrivendo ora, con Francesco Niccolini. Mi sto concentrando sulle parole chiave: la prima è attenzione. Essere attenti, uscire dalla gabbia dell’ego e guardare fuori, anche per esempio all’ambiente».

Quindi teatro e un documentario. E le canzoni?

«La risposta che ho avuto con “Abbi cura di me” a Sanremo mi ha fatto tornare la voglia di fare un disco, dopo sei anni. Le radio non l’hanno suonata, ma ha avuto un percorso tutto suo, è entrata nel mondo della spiritualità, nelle chiese, negli ospedali, nelle scuole. Una ragazza mi ha scritto su Facebook che quella canzone l’ha aiutata a trovare il coraggio di continuare a combattere, e stava facendo il suo ultimo ciclo di chemio. Abbi cura di me ha avuto effetti imprevisti: per esempio, ho ripreso a fare i concerti». —



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