Da Salò a Monte Soratte: Tommaso Cerno racconta il settembre del 1943
Il giornalista condurrà su Focus Mediaset uno speciale in due parti per ricordare l’armistizio. «In un momento come questo, passati ottant’anni, il rischio di dimenticare è forte»

“Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower. La richiesta è stata accolta”.
8 settembre 1943: dai microfoni dell'Eiar, il maresciallo Badoglio annuncia l’armistizio. Nella stessa notte il re fugge da Roma con la Regina, il principe Umberto, il maresciallo Badoglio e lo stato maggiore al completo.
Lasciato senza comandi l’esercito italiano si sfascia.
In occasione degli 80 anni dell'armistizio tra Alleati e Italia, Focus Mediaset propone uno speciale, in onda il 7 e l’8 settembre, in prima serata, a cura di Carlo Gorla, con la regia di Roberto Burchielli e la produzione di Paola Tancioni.
Conduce Tommaso Cerno, già direttore de L’Espresso e del Messaggero Veneto, che accompagna il pubblico nei luoghi simbolo dell'armistizio.
«Nelle due puntate si ricostruiscono gli avvenimenti che hanno caratterizzato il 1943. È un docu-film raccontato da me», anticipa il giornalista.

«Vedremo, a distanza di ottant’anni, la caduta del Fascismo. La prima puntata parte dal 25 luglio ’43 all’8 settembre, quindi dalla caduta di Mussolini all’armistizio; la seconda racconta la Repubblica di Salò e la Resistenza, fino alla fine della guerra. Vedremo i luoghi di questo racconto che sono a Roma, Piazza Venezia, Palazzo Venezia, Villa Ada dove Mussolini fu arrestato, poi il bunker di Monte Soratte, che era il comando generale dei nazisti durante la fuga del re, saremo a Capo Imperatore, in Abruzzo, dove Mussolini fu imprigionato e poi liberato dai nazisti, sulla Maiella dove raccontiamo la storia della Brigata Maiella uno dei gruppi partigiani più eroici che liberarono in quelle montagne migliaia di persone, andiamo ad Ortona e Pescara per raccontare la fuga del re con il bastimento, verso Brindisi con Badoglio, saliamo a Salò, Gardone dove c’è la villa Feltrinelli, al Vittoriale, e poi andiamo nei bunker milanesi dove si rifugiarono gli operai di Sesto San Giovanni, il bunker Breda, per raccontare gli eroi partigiani del Nord prima della morte di Mussolini».
A lei che effetto ha fatto andare in questi luoghi?
«Di grande forza. È da un po’ di anni che racconto anche questo aspetto della storia d’Italia, ho realizzato dei lavori alla Rai qualche anno fa e poi lo speciale “Marcia su Roma”, nell’ottobre scorso sempre per Mediaset. In un momento come questo, passati ottant’anni, il rischio di dimenticare è forte.
Come ci insegna Le Goff, sono il confine entro il quale la storia si racconta da sola, e dopo il quale bisogna cominciare a raccontarla noi, se non vogliamo che vada dispersa, e siccome sono tempi in cui la parola fascismo si usa tantissimo, anche a sproposito, anche più di quanto si usava nel Ventennio, forse è il momento che il Paese si avvicini a questo racconto. Abbiamo fatto un lavoro che mi ha fatto sentire molto responsabilizzato su che cosa dicevo e non dicevo.
Quindi provo una grande emozione e grande voglia, io stesso, di rientrare dentro a quel momento e capire come un Paese come l’Italia sarebbe finito nel 1943, un anno molto simbolico che ha visto nascere una guerra civile tra italiani e italiani».
Dopo ottant’anni, con quali occhi viene vista la fuga del re?
«Viene vista per quello che è. La storia l’ha giudicato anche nell’immediato. La Repubblica fu un impeto d’Italia e l’esilio fu un segnale forte. Il re abbandonò Roma, la capitale, nel momento più difficile, lasciando la città ai nazisti. Gli americani si resero conto che gli italiani non controllavano più Roma e cambiarono le loro strategie. Questo portò ferocia. La risalita dei nazisti, anche cacciati degli alleati, portò morte e drammi che l’Italia non può dimenticare e la colpa del re in questo ci fu».
Tra quelli che tornarono a casa a piedi, dopo l’8 settembre, ci fu anche Pier Paolo Pasolini. Cosa c’è del Friuli in queste due puntate?
«Il fatto di essere friulano e di averne studiato la storia mi ha aiutato molto, perché il Friuli ha vissuto una Resistenza molto dura e controversa, con episodi come Porzûs. Il fatto di venire dal Friuli, di avere Porzûs stampato in testa, di sapere che la guerra creò confusione, tra persone che si conoscevano, all’interno delle stesse famiglie, mi ha consentito di capire meglio anche la complessità del resto d’Italia, e come improvvisamente, un pezzo d’Italia del Nord fu repubblichina e un altro pezzo partigiana. Il Friuli è uno dei luoghi più feriti dalla guerra. C’è molto Friuli nel tentativo di raccontare una cosa che è stata complicata, non lineare».
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