Da Venzone ad Artegna, un viaggio nella ricostruzione tra antiche chiesette e mulini. E c’è la Riserva della biosfera
Eccoli, gli angeli di Venzone. Fiancheggiano l’incoronazione della Vergine sull’altorilievo del portale meridionale del duomo. Sono trecenteschi, come la chiesa. Altri c’erano negli affreschi, andati perduti. Venzone fu completamente devastata dalla scossa. 1976. Sei maggio. Ore 21. Come Gemona e come Artegna, approdi del nostro cammino. È un viaggio dentro la ricostruzione, e la rinascita, quello che farò oggi con Attilio De Rovere e Ulderica Da Pozzo, artefici della Via degli angeli. Andare al passo ci permette di entrare dentro i luoghi in silenzio. Camminare nei centri urbani ci riporta alla vita di ieri.
Le città nascono per i pedoni, non per le auto. La ricostruzione di Venzone per anastilosi, pietra su pietra – “com’era e dov’era”, chiesero i comitati locali, con visione lungimirante – ha conservato l’impianto medievale. La cerchia muraria oggi la protegge da altre invasioni: quello del traffico veloce che scorre sulla statale, del cemento. È un viaggio indietro nel tempo stare qui, l’apprezzano coloro che amano rallentare: si arriva volentieri a piedi e in bicicletta (lungo la Ciclovia Alpe Adria), è bello fermarsi.
Venzone è un successo, è diventata pure il borgo più bello d’Italia in un contest televisivo. «Venzone è un simbolo. Sia paesaggistico, perché è molto bella, sia per la capacità di riprendersi dopo una catastrofe sfruttando le opportunità economiche del territorio. Questo all’Unesco è stato molto apprezzato quando siamo diventati Riserva di Biosfera». Con giusto orgoglio, Stefano Santi, direttore del Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie, attribuisce alla città un ruolo decisivo nel riconoscimento ottenuto nel 2019 dall’agenzia delle Nazioni Unite. Il resto l’hanno fatto le foreste, le montagne. Basta alzare gli occhi e spostare lo sguardo. «Dalla piazza si può avere una visione delle pendici del monte Plauris. Ci vivono stambecchi, camosci, marmotte, nidifica il grifone. La sua varietà botanica include il magnifico erigium alpino, la Regina delle Alpi». E sul Tagliamento, di cui oggi si invoca la candidatura a patrimonio dell’Umanità: «Dentro la Riserva di Biosfera Mab Unesco è incluso il fiume da Venzone a Gemona. Il riconoscimento c’è già».
Oggi seguiremo l’antica via Julia Augusta, romana, ne esistono le tracce. L’antichissima e bella chiesetta di borgo San Giacomo (secolo X) con il loggiato e il campanile a vela, accanto alla quale passiamo, è uno dei tanti segni della devozione a Santiago di Compostela. Sul grande masso accanto si accendono falò rituali.
La nostra via è un susseguirsi di scenari diversi. Quelli “lunari” dei Rivoli Bianchi, sito di importanza comunitaria: alberga specie rare di insetti e piante. I prati fioriti di Sella di Sant’Agnese, set della “Grande Guerra” di Monicelli, dominati dal Ventaglio, strati di roccia vecchi da 70 a 200 milioni di anni: la chiesa e i resti appartenevano a un convento femminile fondato prima del 1200. Il panoramicissimo Forte Ercole. Il laghetto Minisini, eredità glaciale protetta dal fitto bosco.
Ospedaletto, tappa pellegrina: nel Medioevo si fermava qui chi era diretto ai templi della cristianità. L’antico Mulino Cocconi è l’unico ad acqua recuperato dopo il’ 76, ospita le collezioni dell’Ecomuseo delle acque del Gemonese, che tanta parte ha avuto nel recupero della cultura materiale post sisma: attività, tradizioni, luoghi di vita e di lavoro, saperi. Presidi Slow Food, come la latteria di Campolessi, una delle cinque sopravvissute in Friuli (negli anni Sessanta ce n’erano 652). «Al contrario del modello cooperativo odierno, per cui il latte viene venduto e si perde il legame con il territorio, qui ciascun produttore ottiene in cambio una quota di prodotto, così è responsabile della qualità» mi spiega Etelca Ridolfo dell’Ecomuseo. L’anno scorso la storia della latteria è diventata un film, “Latte nostro” di Michele Trentini, presentato in tutta Italia. L’angelo messaggero sulla facciata del Duomo di Santa Maria Assunta di Gemona ci sollecita a proseguire.
Usciamo da Porta Udine. Ad Artegna, a poco più di un’ora di cammino sulla ciclovia di Godo, un altro angelo ci attende: il segnavento della pieve di San Martino, sul colle del castello Savorgnan.
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