Dalle macerie allo scudetto: gli eroi del basket in scena
UDINE. Un impasto fra testo teatrale e poetico e il gioco della pallacanestro, fra il ritmo delle strofe e il palleggio di un pallone. Così, in estrema sintesi, ha spiegato ciò che si svolgerà sulla scena del teatro Nuovo Giovanni da Udine lunedì sera, il direttore artistico della prosa Giuseppe Bevilacqua.
Un appuntamento che non si preannuncia uno spettacolo tradizionale, ma un messaggio a tutto tondo per far dialogare aspetti diversi eppure complementari della vita.
«Sarà una serata che ha due fuochi principali: il terremoto del 1976 e quello scudetto vinto dieci giorni dopo dagli Juniores di basket, vicende raccontate nel libro di Flavio Pressacco con Francesco Tonizzo, e quindi il rapporto, che secondo me è possibile, tra la pallacanestro e il teatro».
E dopo tutto cosa si dovranno aspettare di vedere e sentire gli spettatori?
Il tema proposto è l’unione tra un’azione, che è già risposta positiva a un fatto tragico come il terremoto attraverso un gruppo di ragazzi che vincono, e ciò che era appena avvenuto. Giovani che hanno fatto questo attraverso uno sport che è velocità, conflitto, bellezza estetica, storia che si racconta anche nel rapporto con il pubblico che vive la partita, e che io rivedo nel teatro. In Grecia c’erano gli agoni sportivi. I conflitti che la politica vive fino ad arrivare alla guerra, nello sport con i suoi valori più alti sono sublimati. Io applico lo sport del basket, i suoi gesti, nei miei insegnamenti in Accademia, perché recitare è come giocarsi una partita. Ciò che proporremo sarà un’alternanza di momenti fatti da personaggi, partite, immagini, recitazione dal vivo e movimento sportivo. Insomma, un impasto fra testo teatrale e pallacanestro, non uno spettacolo.
Perché non possono stare insieme rimbalzi e testi poetici e teatrali?
Penso che sia questo un modo per “laicizzare” lo spazio del Giovanni da Udine. Stiamo parlando di mondi per me comunicanti che producono crescita.
Qual è il suo rapporto con il basket e con Pressacco?
Da ragazzino ho giocato nella Patriarca, e Pressacco era proprio il mio allenatore, quindi tra noi c’è una conoscenza che arriva da lontano. Questa serata non è nata a tavolino, ma attraverso i rapporti. Ci siamo incontrati, anche con altri personaggi come Gasparutti o Bardini, che erano nel mondo della pallacanestro quando ci sono stato anch’io. È stata un’esperienza breve nel tempo, ma che mi è rimasta dentro fino a oggi.
Da dove è nata l’idea di creare questo “impasto”?
È qualcosa di molto nuovo, ma non avventato. L’ho sentito come richiesto dal pubblico, anche se poi ci sarà qualcuno che non ci si riconosce. Penso che il teatro non debba essere per pochi iniziati, ma uno spazio vitale: il basket è un gesto vitale e il teatro deve dare al pubblico la voglia di vivere soprattutto in momenti di pessimismo generalizzato come quello che stiamo vivendo.
Questa è la prima di tre serate dedicate alla beneficienza per le popolazioni colpite dal sisma e al ricordo del terremoto in Friuli. Qual è il suo ricordo di quel maggio 1976?
Avevo vent’anni ed ero a Roma in Accademia. Ho vissuto il dopo direttamente, ma ciò che ricordo in maniera chiara è la forza della gente, che non si è lasciata andare. Ho sempre in mente le parole di una donna che aveva perso tutta la famiglia, intervistata alla televisione. Disse: «C’è poco da parlare e da piangere, c’è da ricostruire». Quella voglia di riprendere in mano la vita ha avuto su di me, giovane alle prese con i pensieri di quell’età, l’effetto di una sveglia da una sorta di intorpidimento. E poi c’era fiducia assoluta negli altri, tanto che poi nacque anche l’Università a Udine.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto