Dall’impresa di Libia ad El Alamein: l’occupazione italiana in settanta tavole

Una mostra documentata dagli storici Di Sante e Sury. Lunedì l’inaugurazione a Udine, a palazzo di Toppo Wassermann

Andrea Zannini

Il colonialismo italiano in Africa è una pagina della nostra storia alla quale solo in anni recenti si è dedicata sufficiente attenzione, grazie, tra gli altri, ad un apripista come lo storico e giornalista Angelo Del Boca (1925-2021).

Agli inizi del Novecento la Libia faceva parte di un Impero ottomano vecchio di mezzo millennio e ormai in crisi.

Su un territorio in larga parte desertico ma percorso da importanti vie carovaniere si puntarono le attenzioni economiche di vari gruppi finanziari italiani che condussero, nel volgere di qualche anno, all’“impresa di Libia”, la guerra italo-turca (1911-12).

Tripoli e varie città e oasi furono occupate e le due principali regioni, la Cirenaica e della Tripolitana, furono annesse al Regno d’Italia. Risultò invece difficile “pacificare” le aree interne, controllate da strutture tribali nelle quali i capi tribù rivestivano congiuntamente un ruolo politico e religioso e dove, a dispetto della propaganda governativa che presentava gli italiani come “liberatori”, la resistenza libica fu tenace.

I 290 bersaglieri catturati nella battaglia di Sciara Sciat dell’ottobre 1911 furono barbaramente trucidati e questo diede il via ad una violentissima repressione italiana di civili nonché alla deportazione di migliaia di libici in Italia, alle isole Tremiti e altrove.

Oltre alla deportazione, uno degli strumenti utilizzati per annichilire le tribù fu l’impiccagione dei capi e di civili e l’esposizione dei cadaveri.

Ma nemmeno l’“invenzione” italiana di nuove tecniche belliche, come il lancio dagli aerei di granate sui villaggi per terrorizzare la popolazione, ebbe la meglio sull’organizzata resistenza libica.

Negli anni Venti il governo fascista fu quindi costretto a lanciare la riconquista (in molti casi semplicemente la conquista) delle aree interne libiche, affidandola al generale Rodolfo Graziani e al governatore Badoglio che utilizzarono sistematicamente la deportazione di massa delle popolazioni interne in campi di concentramento posti sulla costa. Si conta che i morti siano stati decine di migliaia.

Dagli anni Trenta iniziò quindi il trasferimento in Libia di migliaia di famiglie italiane, che fuggivano le pessime condizioni economiche del Paese con il miraggio della prosperità nei territori coloniali: agli inizi della Seconda guerra mondiale gli italiani sull’altra sponda del Mediterraneo erano oltre centomila.

La sconfitta di El Alamein del 1943 segnò la fine del sogno coloniale della “quarta sponda”.

Lunedì 14 alle 17.30 a Palazzo Di Toppo Wassermann, in via Gemona 92 a Udine, sede della Scuola superiore dell’Università di Udine, verrà inaugurata, alla presenza dei curatori, la mostra fotografica e documentaria “L’occupazione italiana della Libia. Violenza e colonialismo 1911-1943”.

Promossa dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione di Udine con il contributo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la mostra è stata realizzata per il Centro per l’Archivio Nazionale di Tripoli dagli storici Costantino Di Sante e Salaheddin Sury.

Presenta una settantina pannelli di foto storiche, raccolte in vari archivi italiani e libici.

Una versione in arabo e inglese della mostra è stata presentata a Tripoli nel 2010 ma per la guerra civile e l’instabilità della situazione libica non ha mai potuto essere fatta circolare.

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