Daniele Pecci è Oscar Wilde: «Quella falsa moralità»
L’attore mercoledì 5 febbraio a Lignano, giovedì 6 ad Artegna: «Un testo profetico come accade per i grandi»
![Daniele Pecci interpreta Oscar Wilde domani a Lignano e giovedì ad Artegna per l’Ert (foto Tommaso Le Pera)](https://images.messaggeroveneto.it/view/acePublic/alias/contentid/1h1abi07ocij1xnmqq3/0/image.webp?f=16%3A9&w=840)
L’attesa è una buona compagna dell’attore che vorrebbe finire risucchiato da un personaggio ben preciso, ma non è ancora giunto il momento per affrontarlo. Certe maschere richiedono esperienza.
«Se ne sono andati tre decenni da quando presi coscienza di un testo, “Divagazioni e delizie. Parigi, 28 novembre 1899. Una serata con Sebastian Melmoth”, interpretato da Vincent Price e assemblato da John Gay — spiega Daniele Pecci — e allora pensai che avrei dovuto lasciar passare parecchi calendari prima di avventurarmi con Oscar Wilde».
L’Ert se l’è preso questo pregevole monologo e due saranno le occasioni per poterlo vedere: mercoledì 5, alle 20.45, al Cinecity di Lignano Sabbiadoro e giovedì 6 al Monsignor Lavaroni di Artegna, stessa ora.
Wilde, in verità, non è ultimamente molto gettonato, eppure sono tutte commedie ricche di spunti esistenziali.
«Vero, credo che i suoi ritratti della società inglese di fine Ottocento siano fuori tempo per noi. Poi l’arguzia dello scrittore sorvola serenamente svariate epoche riuscendo a restare integra e forte. Non sono molte le edizioni di questo lavoro, ma vorrei ricordarne una del 1978 con protagonista Romolo Valli all’Eliseo di Roma».
Lei se la deve sbrigare da solo in scena. Una corsa in totale solitudine.
«Dice bene: solitudine. Non è comodo fare le tournée senza amici, mi creda, soprattutto durante gli spostamenti. Non c’è alcun collega a farti compagnia. Scopri, invece, che in tantissimi vorrebbero affrontare un a tu per tu con la platea. Forse non sanno quanta energia se ne vada senza un’anima con la quale scambiare una battuta».
Tanta televisione, certo, ma chilometri di prosa: quindi lei sapeva cosa l’aspettava sfidando “Parigi, 28 novembre 1899”?
«La macchina scenica costruita da Gay è impeccabile, io ho soltanto tirato su il sipario per far entrare il pubblico sul palcoscenico. In origine la chiacchiera avveniva in piedi e sul proscenio, appunto, con la tela abbassata alle spalle. Noi abbiamo creato una stanza che riteniamo renda più agevole il contatto con il pubblico. C’è anche quel minimo d’improvvisazione, dipende dalla collaborazione degli spettatori».
Adesso va tanto di moda la stand up comedian.
«Ecco, il principio assomiglia al meccanismo usato per “Sebastian Melmoth”, che poi è uno pseudonimo di Oscar Wilde. I ragazzi della stand up raccontano la vita. Un umorismo che scaturisce dalle loro sventure».
Anche il buon Oscar si concentra sui fatti suoi?
«L’uomo è ormai verso la fine, è appena uscito dal carcere dov’era stato rinchiuso per “gross indecency” il reato che criminalizzava l’omosessualità. Si presenta grasso, stanco, malato e in bancarotta. Per tirare avanti affitta piccole sale per la narrazione della sua biografia che è interrotta da svariati colpi di scena. La prima parte ha una patina di brillantezza, più cupa sarà la seconda che attinge al “De profundis”, una raccolta di lettere di Wilde scritte dal carcere e indirizzate al suo amante Lord Alfred Dougles».
Potremmo definirlo un testo profetico?
«Eh certo, come spesso accade con gli scritti dei grandi. La parola d’ordine è moralità, la stessa che lo condannò. O meglio la falsa moralità ben presente pure oggi».
Che mi dice Pecci della drammaturgia contemporanea?
«Avremmo bisogno di narrazioni che si rivolgano al presente. Difficile ipotizzare lo sguardo al futuro. I drammaturghi del Settecento, Ottocento e Novecento sono stati capaci di guardare lontano: descrivevano il loro tempo riuscendo a individuare i temi universali».
Le sarei grato di un ricordo della fiction tv più imponente della Rai del primo decennio del Duemila, ovvero “Orgoglio” con più di duecento attori: lei è stato protagonista assieme a Elena Sofia Ricci.
«Un regalo della Titanus che compiva cent’anni. Ebbe un gran successo, girammo ben tre stagioni e mancò la quarta. Il grande produttore Lombardo morì e tutto si esaurì. Soprattutto la carica storica era davvero tanta roba. Questo sceneggiato deve aver lasciato un buon ricordo, sono in molti a parlarne ancora con piacere».
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