Danilo De Marco, tra foto e lotte sociali: i miei viaggi in Bolivia
Una mostra dal 22 aprile alla galleria Make di Udine e un libro del fotografo friulano. L’intervista alla presidente dei giornalisti del Paese: «In balia di Evo Morales»

Un viaggio per immagini nella Bolivia che non si piega grazie alle fotografie di Danilo De Marco esposte alla rassegna Bolivia che si apre martedì 22 aprile, alle 18.30 a Udine, alla galleria Make (evento che segna il conto alla rovescia per vicino/lontano): 28 fotografie inedite scattate nell’arco di tre viaggi compiuti in Bolivia, l’ultimo nel novembre 2024.
C’è anche un libro, edito dal Circolo culturale Menocchio, che contiene le immagini e il colloquio del fotografo friulano con Zulema Alanes, presidente dell’Associazione nazionale dei giornalisti della Bolivia, giovanissima militante comunista sotto la dittatura di Banzer. Ecco una parte dell’intervista.
Danilo De Marco
Ricordo perfettamente la situazione boliviana nei miei due viaggi del 2003 e 2004. Assemblee popolari pregne di speranza, di partecipazione e di allegria accompagnavano le manifestazioni e le lotte per i diritti dei popoli indigeni anche nel Chapare, tropico di Cochabamba e zona cocalera, dove oggi si nasconde Evo Morales, ex presidente e primo presidente indigeno della Bolivia. In quei miei viaggi, più di una volta mi sono unito alle assemblee di Evo Morales, allora dirigente del Mas-Movimento al Socialismo. «In questo momento c’è un mandato con ordine di cattura per Evo Morales, per le accuse di contrabbando, stupro, traffico di esseri umani e per un episodio in cui ha avuto rapporti sessuali con una ragazza di 15 anni che ha ingravidato e da cui è nata una bambina.
Mandato che vale anche per i suoi collaboratori che stanno cospirando con le risorse del narcotraffico. Pertanto, questo mandato d’arresto non può essere eseguito perché Evo Morales è protetto nel Chapare. Tutto lascia pensare che il Chapare sarà la roccaforte da cui Evo Morales agirà, e da dove già emette costantemente dichiarazioni. Ha un programma domenicale sulla sua stazione radio Casa Chun Coca, accusando il governo di Catacora Arce, di gestire una strategia per condizionare le sue possibilità elettorali e la sua attività politica, e impedirgli di ritornare presidente alle vicinissime prossime elezioni».
Dove sono finite le speranze e l’allegria, in un Paese che faccio fatica a riconoscere.
«Tutto inizia con la prima presidenza di Evo Morales, dopo l’emergenza popolare del 2003, e iniziata ancora prima con la guerra dell’acqua e poi con la guerra del gas. In realtà Evo Morales è sempre stato nascosto, diciamo, nel Chapare: sindacalista delle sole 6 federazioni dei coltivatori di coca. In quel tempo era impegnato ad articolare il suo movimento cocalero con Gheddafi, in Libia. Evo Morales ha fatto appello alle organizzazioni sociali e con il loro appoggio ha organizzato la sua base di governo. Tutti, anche noi giornalisti, tutti, assolutamente tutti lo abbiamo sostenuto.
Diciamo che Evo Morales è riuscito a proiettare la sua leadership anche grazie al forte appoggio dei media. Fece una proposta elettorale che chiamò “Proceso de Cambio”. Ma di fatto fin da subito è stato un processo che ha iniziato a decostruire quel forte tessuto sociale esistente, per prima cosa iniziando a disconoscere i leader di quegli stessi movimenti sociali. Si considerava l’unico e solo leader.
E l’Assemblea Costituente dei Popoli indigeni?
«L’Assemblea Costituente non è un’idea di Evo Morales. L’Assemblea Costituente è il prodotto della prima marcia indigena per la vita e il territorio, una marcia dei popoli indigeni che provengono soprattutto dall’Amazzonia e che sono stati storicamente dimenticati. Morales ha subito formato un governo molto solido ottenendo un voto senza precedenti con i 2/3 dell’Assemblea Legislativa che ha votato a suo favore. Mai in democrazia un partito politico aveva ottenuto i voti che ha ottenuto Evo Morales. Poi, avendo il controllo del Parlamento, ha iniziato a controllare il sistema giudiziario. A controllare il corpo elettorale. Quindi ha annullato l’istituzionalità democratica formale dei poteri dello Stato e ha annullato l’istituzionalità rappresentativa delle organizzazioni sociaili».
Quel governo, un governo popolare e di sinistra, che ha a che fare con l’agrobusiness e l’industria mineraria?
«Evo Morales ha ricevuto molti soldi come risultato della nazionalizzazione degli idrocarburi e della privatizzazione delle miniere, perché ha distrutto le miniere statali, le miniere statali tradizionali, per creare miniere cooperative. Miniere cooperativiste che oggi sfruttano le risorse naturali e lo fanno inquinando le regioni più importanti del Paese. Cooperative guidate da piccoli gruppi potenti, che lavorano, diciamo, in un regime di sfruttamento dei lavoratori, comprese le imprese straniere che utilizzano le concessioni rilasciate dallo Stato. Così sfruttano l’oro, e i principali giacimenti minerari del Paese. E si tratta di un settore che viene indubbiamente gestito politicamente a vantaggio di una sorta di clientela elettorale. Per la prima volta con Evo Morales, i sindacati, le organizzazioni contadine e indigene hanno ricevuto risorse statali. Iniziando così una politica di favoritismi. Una sorta di prebenda illecita. E il disastro ambientale».
Ma mi pare che Evo Morales abbia anche stretto importanti patti con l’agrobusiness… o mi sbaglio?
«Ha approvato un pacchetto di leggi, le cosiddette “leggi incendiarie”, per garantire l’espansione della frontiera agricola a vantaggio dell’agrobusiness. In altre parole il pacchetto di “leggi incendiarie” garantisce l’incendio di vaste aree forestali per espandere la frontiera agricola per la produzione di soia, per la monocoltura, per esportare la soia e garantire il business dell’allevamento con la prospettiva di esportare carne per sfamare la Cina. Progetti che Evo Morales portava avanti. Poi invasione dei territori indigeni, delle riserve nazionali che erano state delimitate dai governi neoliberali, dei parchi nazionali. La regione del Chapare, la sua base elettorale, ha “beneficiato di almeno 2. 000 milioni di dollari dallo sviluppo alternativo e di 1. 500 milioni di dollari durante gli ultimi dieci anni del suo governo, oltre a tutto ciò che è stato generato dall’industria della cocaina».
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