L’occhio di Dante Spinotti, dalla Carnia a Hollywood: «Ho in cantiere un film sull’assassinio di Kennedy»
Il direttore della fotografia si confessa a Trieste a 81 anni: «Pensione? Sto lavorando con Levinson e Chastain
«Un talento straordinario, che usa la cinepresa per catturare ciò che non è visibile a occhio nudo». Parola di Sir Anthony Hopkins, con cui ha lavorato e che lo ha spiritosamente soprannominato "cappuccino e cinepresa" per la sua capacità di essere affabile e comunicativo e al contempo un grandioso professionista. 94 film celebrati tra vittorie ai Bafta, due candidature agli Oscar, Pardo alla carriera con ovazione in piazza Grande a Locarno: parliamo del direttore della fotografia Dante Spinotti e del suo cammino da sogno dalla Carnia a Hollywood, protagonista nella mattinata di lunedì 16 dicembre di una seguitissima masterclass al Teatro Miela; organizzata da Casa del Cinema, si è presto gremita di studenti che non hanno fatto mancare a questo «eterno ragazzo del cinema», così l'ha definito Riccardo Costantini .
Lungi dal sedersi sugli allori, l'81enne maestro della luce ha anche trovato l'occasione per annunciare le sue ultime collaborazioni, in primis quella con il Premio Oscar Barry Levinson ("Rain Man"). «Sono felice di essere qui a Trieste ma non pensiate che sia andato in pensione - ha esordito -: sto ancora lavorando! Ad un film, in particolare, che sarà il mio prossimo progetto: è la storia di una giornalista americana di grande successo che scopre - questa è la teoria dello script - come e chi ha ucciso veramente il presidente John F. Kennedy. Lei è Jessica Chastain di "Zero Dark Thirty", bellissima e talentuosa».
Linguaggio «"edgy", teso, al limite «come nella fotografia "non illuminata" di "The Insider"» è stata la prima richiesta di Levinson, con cui Spinotti ha girato due anni fa "Alto Knights", in uscita il prossimo anno, con Robert De Niro nel doppio ruolo di due boss mafiosi amici. Quanto a bellezze da fotografare, ha poi fatto vedere sullo schermo, testuale, «come girare un dialogo tra un lui e una lei che per la prima volta si scambiano uno sguardo d'amore».
Ecco allora un'indimenticabile sequenza da "L’ultimo dei Mohicani" (1992), uno dei punti più luminosi del suo sodalizio con il grande Michael Mann (5 i film insieme, e che film!), che gli consegnerà la vittoria ai Bafta. Il gioco di sguardi tra Madeleine Stowe e Daniel Day Lewis è effettivamente magico e Stowe ringraziò espressamente Spinotti per quel suo primo piano così vibrante e memorabile. Oltre che all'illuminazione a libro ispirata da Ridley Scott, sono stati rivelati anche interessanti dettagli su come lavora l’autore di "Manhunter", come «il piano dell'andamento psicologico dei personaggi». È firmato Mann anche il film che l'ha più appagato in assoluto.
«Non sempre i lavori più divertenti e simpatici, come "Pronti a morire" di Sam Raimi, ad esempio, sono anche i migliori. A volte film più sudati e sofferti diventano invece opere importanti come fu nel caso di "Heat": forse il film più completo, più interessante e più bello cui ho lavorato».
Nonostante si trovi gomito a gomito con superstar planetarie (Pacino, De Niro, Pfeiffer che gli chiese di imbruttirla...), di Spinotti colpiscono i modi cordiali e soprattutto umili, come se il suo fosse comunque il risultato di un lavoro di squadra. I più giovani hanno apprezzato il suo stile da carnico verace, semplice eppure denso, schietto e senza fronzoli. Ma come è nato l'amore per la fotografia di questo mago della luce? «In maniera molto semplice - ha raccontato-: ero ragazzino, avrò avuto 10/12 anni e avevo uno zio che era un po' il mio idolo: faceva l'operatore cinematografico. Allora mia madre mi regalò una Vest Poket Kodak, una macchinetta, e iniziai a fare fotografie. Anche a svilupparle, mi piaceva molto. Agli esami di terza media avevo voti assai mediocri, però 8 in disegno: ero bravo a fare i chiaroscuri, ad esempio nelle nature morte. L'ombra e la luce, chissà perché, sono uno dei miei talenti. Siccome mi piaceva anche il calcio, seguivo una squadra che giocava in promozione, il Lendinara, e diventerai il fotografo della squadra: andavo a scattare dietro la porta e le mie immagini, stampate in grande dal fotografo del paese, finivano così sulle finestre dei bar con il mio nome sotto: Foto Spinotti. Questo fu l'inizio della mia carriera». —
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