Dante Spinotti racconta di quella volta che lasciò il set del film di Barbra Streisand

Il celebre direttore della fotografia nato in Carnia ma da anni residente a Los Angeles, è stato invitato giovedì, alle 20, al Kinemax di Gorizia per presentare il suo ultimo libro
Alex Pessotto
Dante Spinotti
Dante Spinotti

Nuova presentazione in regione del libro di Dante Spinotti, Il sogno del cinema. La mia vita, un film alla volta (La nave di Teseo, 320 pagine, 21 euro). Il celebre direttore della fotografia nato in Carnia ma da anni residente a Los Angeles, è stato invitato giovedì, alle 20, al Kinemax di Gorizia. Seguirà la proiezione del documentario di Trudie Styler “Posso entrare? An ode to Naples”, uscito di recente e a cui Spinotti ha collaborato. La serata, a ingresso libero, è organizzata dall’associazione Sergio Amidei.

Spinotti, cosa fa un direttore della fotografia?

«Studia il linguaggio cinematografico da applicare a un film e un film si può fare in migliaia di modi. Nel leggere allora una sceneggiatura, un direttore della fotografia elabora assieme al regista come girare il lungometraggio e come usare la macchina da presa. Insomma, la sua è un’analisi su un’idea per poi metterla in pratica. In sintesi, noi illuminiamo il film, ci occupiamo delle atmosfere».

Com’è ora il rapporto con la sua Carnia e con il Friuli Venezia Giulia?

«La mia famiglia ha una storia friulano-carnica da parte di mio nonno paterno: Riccardo Spinotti, fondatore della Cooperativa Carnica, sindaco di Tolmezzo, alpinista. La parte materna è invece di Clavais. Io sono nato a Muina, nel comune di Ovaro. Ora, qui abbiamo ancora una casa a cui anche i miei figli sono affezionati. Dal terremoto in poi abbiamo lavorato a lungo per sistemarla. Insomma, il legame con il territorio c’è eccome. Per esempio, sono presidente di giuria del concorso Cortomontagna».

Lei ha lavorato con molti registi. Con chi il rapporto professionale è anche diventato personale?

«Con un regista lavoro a stretto contatto per molti mesi di fila. Quindi, con quasi tutti quelli con cui ho collaborato il rapporto è personale. Con Michael Mann siamo da tempo amici di famiglia e con Barry Levinson ogni tanto facciamo qualche cena assieme. Parlare con un regista è fondamentale, preferibilmente prima del film: specie nel cinema americano, la preparazione occupa un ruolo ancora più importante che altrove: i costi sono molto alti e quindi occorre essere assai efficienti durante le riprese. Anche con Barbra Streisand con la quale ho avuto un rapporto complesso sul set, al punto che è stato l’unico che ho abbandonato, abbiamo fatto cene a cui invitava i suoi collaboratori più stretti. Lo stesso accadeva con Lina Wertmüller che ci invitava a casa, a piazza del Popolo».

Perché ha abbandonato il film di Barbra Streisand?

«Fuori dal set era deliziosa, ma sul set era molto insicura. Quindi, creava continui dubbi. Il film era “L’amore a due facce”. In quel periodo avevo ricevuto due offerte. Una era per “Il club delle prime mogli”. Nel cast, c’erano tre primedonne: Bette Midler, Diane Keaton e Goldie Hawn. L’altra era proprio per il film di Barbra. Ho pensato che avere a che fare con una signora soltanto anziché con tre fosse più semplice. Mi sbagliavo».

In quale film ritiene di aver superato se stesso?

«Posso dire quale sia, per me, il miglior film al quale ho lavorato: “Heat-La sfida” di Michael Mann. Lo reputo straordinario e ne sono molto contento, orgoglioso. Ancora oggi è modernissimo, importante, dinamico».

Quali sono i suoi prossimi impegni?

«Ci sono due progetti. Uno è con il mio amico regista Deon Taylor: è una storia di football americano. Poi, però, l’ultimo a cui ho lavorato vede Robert De Niro interprete di due mafiosi: Frank Costello e Vito Genovese. La regia è di Barry Levinson ed è il mio secondo film con lui». —

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