Daverio: «Spetta a tutti salvare l’Italia»
LESTIZZA. Tutto è cominciato una decina d’anni fa, quando su indicazione dell’artista Giuliano Mauri, di cui ancor oggi nel giardino dei Colonos si può ammirare il Tempio vegetale, Philippe Daverio arrivò a parlare d’arte ad Avostanis. Da allora, ogni estate il critico ritorna a Villacaccia di Lestizza e lunedì si intratterrà col pubblico parlando di cultura a chilometro corto e più in generale, seguendo il tema di Avostanis 2013, di come uscire dalla crisi, sulla scorta di quel pensiero positivo di Einstein – «come il giorno nasce dalla notte scura» – che dovrebbe essere di stimolo, alla politica così come alla cultura, a pensare soluzioni originali, capaci di superare quel modello sociale ed economico di cui oggi scontiamo drammaticamente i limiti e le derive.
«Io parlo da storico dell’arte», mette subito le mani avanti Daverio. «Il mio mestiere non è quello della politica. Non sono in grado di dare una risposta su dove posizionare Silvio Berlusconi: sarebbe intollerabile arroganza da parte mia». Anche se si capisce che di politica parla, eccome!
«Quello che è innegabile – continua – è che viviamo in un’epoca in cui le domande si pongono in un modo particolarmente importante, perché gli equilibri sembrano definitivamente cambiati, il destino dell’Italia è tra i più problematici: cosa succederà, che tipo di avvenire ci aspetta, che tipo di protagonismo potremmo e/o speriamo di avere? Cosa vuole dire immaginare che l’Europa si faccia o non si faccia?»
Ancora: «Ovviamente – spiega – io tenterò, come spesso faccio in questi casi, di porre la questione da un punto di vista legato alla cultura vista in senso ampio, da antropologo. E cioè: che tipo di cultura può proporre l’Italia al mondo, e in che ambito? È mai immaginabile una nostra fuoriscita dall’Europa? Credo di no, ma che opportunità ci offre oggi l’Europa? E poi che destino dare al nostro paese in base alle nostre capacità, che sono ancora capacità laborative e creative? Come, infine, pensare di risolvere i nostri problemi che sono molto grossi e apparentemente insuperabili?».
Inevitabile a questo punto il ritorno alla politica. «Certo, ma la riflessione sulla politica è compito di tutti. Come a tutti spetta salvare l’Italia». In questo però gli italiani non sempre si sono dimostrati all’altezza, preferendo pilatescamente delegare allo Stato...
«Infatti. A mio parere gli italiani hanno dimostrato che fanno fatica a salvarla, l’Italia, e dopo 150 anni di unità dobbiamo avere il coraggio di ammettere che non ce l’abbiamo fatta. L’abbiamo invece demolita. Un secolo fa eravamo il paese più bello del mondo, il primo paese turistico, oggi siamo il sesto. In cambio stiamo molto meglio economicamente, eravamo poveri ma belli. Oggi siamo ricchi e meno belli».
Alla domanda se è questa contraddizione insanabile, Daverio sorride e continua: «Difficile oggi come oggi immaginarci una bella dialettica hegeliana in cui la sintesi di questa antitesi sia ritornare belli pur rimanendo ricchi. È la vera sfida dell’Italia oggi. Io essendo malgrado tutto per fatto genetico ottimista, presumo che la soluzione ci possa essere, a condizione che. la si voglia perseguire».
E a proposito della luce in fondo al tunnel, che ciclicamente politici e banchieri sbandierano, dice: «Vorrei sperarlo. E mi è di conforto il fatto che l’Italia ha retto questo periodo grazie a un tessuto storico – famiglia, risparmio, proprietà immobiliari... – che è completamente diverso da quello degli altri paesi europei. Abbiamo retto persino alla catastrofe della politica!».
Quanto ai Colonos, infine: «Sono un esempio di quello che vuole dire riuscire a essere locali e globali al contempo», si entusiama. «Sono un fenomeno di ancoramento al territorio formidabile e sono una risposta di organizzazione quasi anarcoidie, quasi situazionista. Un luogo di assoluto interesse!».
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