A Dedica arriva Gabriele Vacis: rivisitare la grande storia attraverso le memorie

In scena lunedì 17 marzo alle 20.45 all’ex Convento di San Francesco. Una mise en espace dal romanzo di Kader Abdolah

Mario Brandolin
In scena luned' 17 marzo alle 20.45 all’ex Convento di San Francesco. Una mise en espace dal romanzo di Kader Abdolah
In scena luned' 17 marzo alle 20.45 all’ex Convento di San Francesco. Una mise en espace dal romanzo di Kader Abdolah

Affidato alla sensibilità artistica di Gabriele Vacis, protagonista con il suo Laboratorio Teatro Settimo della prima edizione di Dedica nel 1995, il primo appuntamento teatrale di Dedica 2025: in scena oggi, lunedì 17 marzo, alle 20.45 nell’ex Convento di San Francesco: La scrittura cuneiforme, una mise en espace dall’omonimo libro di Kader Abdolah a cura di Gabriele Vacis con Lorenzo Tombesi ed Edoardo Roti nell’allestimento di Roberto Tarasco.

Si tratta di uno dei romanzi più significativi di un autore come Kader Abdolah, «la cui storia – spiega Vacis – è quella di un uomo di oggi, che vive in Olanda ma è nato in Iran. Ha una formazione da fisico, è stato un rifugiato politico e scrive in olandese. Nel mondo di oggi le nostre esperienze si frantumano, sono in continuo movimento, migrano costantemente. Così è sempre più difficile trovare appigli alla realtà concreta del vivere. I personaggi dei romanzi di Kader Abdolah, come tutti noi, lottano per sfuggire allo stato di perenne immaginazione a cui sembra condannarci l’instabilità, la precarietà dei nostri sempre nuovi dispositivi tecnologici».

Come il personaggio di Scrittura cuneiforme cui l’arma di difesa viene da lontano. «Da quella parte del nord dell’Iran, ai confini con la Russia, una zona particolarmente isolata dove lo scrittore ha vissuto infanzia e adolescenza e che quindi conosce bene. Da lì e da un passato più profondo, arriva al protagonista del romanzo, Ismail, una scrittura antica, conferma Vacis, una sorta di diario in caratteri cuneiformi che ha scritto suo padre, sordomuto. E che lui deve interpretare, decifrare in quella sorta di grafica».

Questo a cosa lo porterà?

«Mettersi a tradurre quella scrittura misteriosa, per Ismail, significa riconoscere radici concrete che pensava di aver perduto per sempre. Significa rivisitare, attraverso la semplice esistenza del padre, la grande storia: le pretese di occidentalizzazione dello scià, il ritorno e la violenza degli ayatollah, le lotte per la liberazione…».

Ciò comporta qualche cosa di più anche per Kader Abdolah, o sbaglio?

«Sicuramente il recupero di una storia millenaria, di una tradizione nella cui profondità possiamo trovare, ammesso che sia ancora possibile, qualche traccia per comprendere la realtà, o anche solo la capacità di stare in un mondo che, volenti o nolenti, ci porta continuamente da qualche altra parte. Che è poi quello che è capitato Kader stesso. Impegnato contro lo scià, si trova poi a fare i conti con una rivoluzione, quella di Khomeini, che delude tutte le aspettative in un ritorno repressivo e teocratico al passato che lo costringe a fuggire all’estero».

Ecco il rapporto col passato, con le radici: quanto pesa nel romanzo?

«La cosa interessante del libro di Abdolah, oltre a essere scritto con grande maestria e scorrevolezza, è il contrasto che nasce tra quanto vissuto da piccolo fino alla giovinezza, tra il mondo arcaico dove il padre faceva il riparatore di tappeti – «dalla mie parti si facevano i tappeti volanti» come ama raccontare Abdolah – e il presente e il nostro Occidente. Il che in qualche modo lo avvicina a noi, che abbiamo vissuto le grandi mutazioni che hanno trasformato anche il nostro paese, sostanzialmente contadino fino alla fine degli anni ’50, e poi esploso nell’industrializzazione prima e nella globalizzazione poi».

Cosa vedremo e ascolteremo a Dedica?

«Un racconto che sottolineerà la grande ricchezza del romanzo di Abdolah. Che è un romanzo a episodi, ma più di personaggi che di storie. E su alcuni di questi, il padre la madre, una sorella … prende vita il nostro racconto, che si compone di parti recitate e parti lette. Il tutto immerso nelle scenofonie che Roberto Tarasco esegue dal vivo e affidato all’interpretazione di due giovani attori della compagnia con cui oggi lavoro prevalentemente. Una compagnia, PoEM (Potenziali Evocati Multimediali), formata da giovani usciti dalla Scuola per attori dello Stabile di Torino che ho diretto fino al 2021».

A proposito di Accademie e scuole di teatro, lei da qualche tempo dirige quella creata a Gorizia da Artisti Associati.

«È vero, ed è una bella realtà che forma dieci giovani attori, già diplomati in altre istituzioni formative teatrali con i quali stiamo realizzando Gli innamorati di Carlo Goldoni, che verrà presentato al pubblico a tarda primavera». 

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