Demografia, lavoro e poca istruzione: «Ecco perché l’Italia non ha un futuro»

Ora che la pandemia sembra attenuare la sua virulenza, altri e più drammatici scenari si vanno delineando nel panorama del nostro futuro prossimo: scenari davvero preoccupanti soprattutto per qual che riguarda l’economia e le nuove crisi sociali ad essa legate.
E di questo si parlerà nel penultimo appuntamento di “Vicino/Lontano on” oggi, giovedì 22 alle 21: coordinati dal vicepresidente della manifestazione udinese, Paolo Ermano, interverranno da casa Leonardo Becchetti, ordinario di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma; gli economisti Patrizio Bianchi e Antonio Massarutto e il sociologo Stefano Allievi, di cui è appena uscito per Laterza il saggio La spirale del sottosviluppo.Perché (così) l’Italia non ha futuro, un’analisi molto documentata di come il nostro paese rischi molto concretamente il default.
Lo abbiamo sentito e per prima cosa gli abbiamo chiesto quanto e se sono rassicuranti le due parentesi nel sottotitolo che sembrano lasciare un qualche margine di speranza nel quadro alquanto fosco del presente e soprattutto per il futuro delineato nel libro. Quando le togliamo queste parentesi?
«Non adesso, nel senso che c’è un prima e un dopo il coronavirus, ma la nostra situazione era già catastrofica prima e di suo. Il libro è uscito adesso perché è adesso che dobbiamo fare le scelte che riguardano il nostro futuro, non tanto rispondendo al Covid 19 in maniera emergenziale, ma ai problemi strutturali che c’erano già prima».
Lei legge la situazione del nostro paese attraverso alcuni indicatori, quali la demografia, l’immigrazione, l’emigrazione, l’istruzione e il lavoro. Quale, anche alla luce della pandemia in atto, è secondo lei quello cui bisogna mettere mano per primo?
«A tutti e cinque insieme, perché noi capiamo di più dall’interconnessione tra questi che non dall’approfondimento di uno solo».
Ma se proprio dovesse scegliere delle priorità?
«Sicuramente scuola e politiche famigliari, cioè demografiche. Essere, come siamo un paese con la metà dei laureati, che peraltro emigrano, rispetto al resto d’Europa ed esattamente il doppio di analfabeti funzionali, non in grado ad esempio di capire un semplice dato economico come il muto e il leasing per la macchina, questo è un grave problema ora e in prospettiva. E che nell’ultimo decreto del governo sulla ripartenza non ci sia nulla su come sarà la scuola da settembre è assai indicativo di un certo mettere in secondo piano un settore che invece dovrebbe essere più che primario».
Da più parti si lamenta la mancanza di visione di questa nostra classe politica e dirigenziale. Concorda?
«Certamente, è grave che non ce l’abbia la classe dirigente, ma ancor più grave che non ce l’abbia il paese. E non è solo un fenomeno di incompetenza o superficialità, perché saper leggere fenomeno complessi richiede una mente complessa. Da qui il bisogno di scolarizzazione».
Nel libro lei sottolinea però alcuni aspetti del nostro sistema che ancora reggono, il grande risparmio delle famiglie, certi saperi, la bellezza di cose e luoghi. Ecco, quanto tempo abbiamo affinché queste opportunità non vadano sprecate?
«Pochissimo. Abbiamo un risparmio molto alto, in certe zone addirittura più della Baviera, ma la ricchezza si solidifica se si trasforma in conoscenza, ma se questo non accade si pagano prezzi altissimi».
Si parla tanto di un nuovo modello di sviluppo. Perché?
«Perché una diminuzione di risorse, che ci sarà, dovrebbe farci ripensare e privilegiare i bisogni primari, tra i quali io metto la scuola. Che sin qui abbiamo trascurato. E queste scelte possono avvenire solo attraverso un’opinione pubblica ben informata dei rischi e delle opportunità, in modo che queste siano consapevoli, accettate».
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