Diceva sempre: «Visto da vicino nessuno è normale»

UDINE. «Visto da vicino, nessuno è normale», ripeteva Franco Basaglia (1924-1980). Veneziano, capofila della concezione moderna della salute mentale e riformatore della psichiatria in Italia, si batté per chiudere l’istituzione manicomiale. Laureatosi a Padova nel 1949, si specializzò in Malattie nervose e mentali. Le sue idee innovative non lo aiutarono in ambito accademico, sicché nel 1961 rinunciò alla carriera universitaria per dirigere l’Ospedale psichiatrico di Gorizia. Opponendosi alla rigida segregazione dei pazienti con disturbi psichici – che venivano stigmatizzati come “pazzi”, “maniaci”, “lunatici”… – e ai trattamenti disumani di cui erano vittime, chiedeva di considerarli non come esseri pericolosi e “diversi”, ma come persone in crisi, da conoscere nel loro contesto culturale, sociale ed ambientale specifico, per valorizzarne le qualità e reinserirle nelle attività lavorative e nei rapporti umani. La sua concezione rifletteva convinzioni politiche, sociali e filosofiche con riferimenti a pensatori quali, fra gli altri, Sartre, Foucault, Goffman. Ispiratosi allo psichiatra e attivista statunitense Thomas Szasz e alla “comunità terapeutica” di origine inglese, condivise alcune posizioni dell’antipsichiatria, una corrente di pensiero sorta tra i fermenti del ’68 grazie a David Cooper e Ronald Laing in opposizione alla concezione “biomedica” della psichiatria. Convinto che i malati venissero internati dalla burocrazia per non infastidire la società, Basaglia, fondatore nel 1973 di “Psichiatria Democratica”, guidò un movimento culturale culminato, quarant’anni fa, nella Legge 180/78 (risale a 50 anni fa, invece, il suo testo “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”). Non entriamo qui nel merito della cosiddetta Legge Basaglia, che introdusse aspetti necessari e improrogabili, ma anche bisognosi di adeguato sviluppo.
Basaglia lasciò Gorizia nel 1968. Nel 1969 fu a Parma e dal 1971 diresse a Trieste il manicomio di San Giovanni, trasformandolo in una esemplare comunità terapeutica con iniziative quali, a esempio, laboratori di pittura e teatro, o forme di lavoro riconosciuto e retribuito dei pazienti.(va.ma.)
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