Dopo 12 anni arriva in sala “Madre” di Bong Joon-ho

Giorgio Placereani



Il successo mondiale di “Parasite” ha lanciato in Occidente il cinema coreano come mai era accaduto prima, e il regista Bong Joon-ho in particolare. È così che lo spettatore italiano può vedere oggi a al cinema un assoluto capolavoro quale “Madre” del 2009 (che aveva avuto anni fa una limitata circolazione in dvd). In un villaggio una donna anziana poverissima, che campa vendendo erbe e praticando l’agopuntura senza licenza, vive da sola col figlio problematico. Viene uccisa una ragazza e il giovane è arrestato con l’accusa di omicidio; la madre, senza alcun aiuto da parte della legge, si impegna disperatamente, “investigando” in proprio, per salvarlo. Come sempre Bong unisce il grottesco con tocchi di humour nero al realismo sociale; e nell’affresco, particolarmente potente è questa figura di donna, una magnifica interpretazione di Kim Hye-ja.

In tutti i suoi film Bong Joon-ho ci parla della società stratificata che crea la condizione di «homo homini lupus». Il comportamentismo, l’agire obbligato nella durissima legge della vita, è il grande motore del suo cinema. Opera di grande intensità emotiva e di mirabile libertà narrativa, bizzarramente poetica, “Madre” traccia un quadro di disperazione senza mai perdere la leggerezza del tocco. Fra l’altro, lo schema esteriore “giallo” ci mostra una capacità da parte di Bong che non ci aspettavamo: stiamo pensando alla scena in cui la donna si introduce in casa di un giovane di cui sospetta, questi ritorna con una ragazza e la donna deve nascondersi, uscendo poi cautamente quando i due dormono dopo aver fatto l’amore. Bong aveva già lavorato col thriller (“Memorie di un assassino”) ma qui mostra una capacità di gestione della suspense – la dilatazione del tempo e la malignità degli oggetti – assolutamente hitchcockiana. —

Madre, regia di Bong Joon-ho, con Kim Hye-ja, Won Bin, Kin Ku (Corea del Sud, 2009)



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