Quei due pugni guantati di nero sul podio, Buffa li racconta ad Artegna: «Uno degli eventi iconici degli ultimi 60 anni»
La voce e volto di Sky protagonista, mercoledì 23 aprile, di uno spettacolo che intreccia sport, storia e diritti civili

Lo scatto fotografico di John Dominis del 1968 a Città del Messico che ritrae i due velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos (primo e terzo nei 200 metri) sul podio con il braccio teso verso il cielo e il pugno chiuso guantato di nero, è la quinta foto più iconica del Novecento, secondo il settimanale “Life”. Fu un gesto di protesta in difesa dei diritti degli afroamericani, la pagina più politica della storia delle Olimpiadi.
Un racconto epico ora patrimonio del novellatore più eclettico della nostra signora televisione: Federico Buffa, voce e volto di Sky, cantastorie raffinato dello sport, affabulatore ipnotico — persino Aldo Grasso, il più “inflessibile” critico d’Italia, l’ha apostrofato come un “narratore straordinario” — cultore del dio pagano basket e di tutto ciò che la storia ha messo in cornice.
E sarà proprio lui, mercoledì 23 aprile, a far brillare sul palco del teatro di Artegna, alle 21, quell’unicità post sportiva fine Sessanta dal titolo “Due pugni guantati di nero”, firmato dallo stesso Buffa. E con Alessandro Nidi.
A lei non sfuggono gli eventi indimenticabili di un fertile secolo scorso. Questo come l’ha raccolto?
«In origine la nascita del pezzo è televisiva. Andai a Città del Messico nel 2018 per fissare gli odori e lo sguardo d’insieme dello stadio Azteca, un monumento rimasto pressoché immutato dalla fine dei Sessanta. Lo stesso luogo dove il 12 settembre 1979 Pietro Mennea stabilì il record mondiale sui 200 col tempo di 19.72, tutt’ora la miglior prestazione europea. Riuscii a dialogare con Harry Edwards, il sociologo attivista statunitense vicino a Malcom X e che ispirò la mossa dei due atleti Usa, ricostruendo così uno degli eventi maggiormente esposti degli ultimi sessant’anni. Un viaggio attraente che mi diede l’opportunità di farne prima ottima materia catodica e, successivamente, trasformare le immagini in un testo teatrale, una location — intendo il palcoscenico — a me particolarmente gradita».
Ed ecco, appunto, lo spettacolo live, fra l’altro in scia di uno calcistico: “La Milonga del futbal. Un secolo di calcio argentino”, offerto tempo fa al pubblico udinese del Giovanni da Udine.
«Mentre stavamo girando il servizio sugli afroamericani mi resi conto di una possibile metamorfosi scenica. Non è la prima volta che trascino sul proscenio materia inizialmente televisiva. Così da rendere partecipe il pubblico senza parabola in casa. Tornando velocemente ai fatti, fu sempre Edwards a influenzare pure il quarterback Colin Kaepernick, il quale il 26 agosto 2016, prima del match fra i San Francesco 49ers e i Green Bay Packers, s’inginocchiò durante l’inno americano. “Non mi voglio alzare in piedi per mostrare l’orgoglio nei confronti della bandiera di un Paese che opprime le persone di colore”, disse. Colin, quarant’anni dopo, ripropose la protesta perché nulla era cambiato rispetto al 1968. Smith e Carlos si rovinarono la vita costretti come furono a non gareggiare più, invece Colin — grazie all’interessamento di LeBron James — almeno rimase coinvolto nella campagna Nike “Just do it” e il suo conto si arricchì di un milione di dollari».
Com’è che uno laureato in giurisprudenza è diventato un comunicatore?
«In realtà non ci avrei mai pensato, ma è andata bene così».
Leggiamo dei suoi inizi a Tv Koper Capodistria. Un network che in Friuli Venezia Giulia era seguitissimo.
«Ed è così. Mai potrò ringraziare abbastanza Sergio Tavćar, un autentico fuoriclasse delle telecronache di basket. Per il quale sono quel che sono. Grazie alla pallacanestro e a un altro mentore: Aldo Giordani».
Una sua storia segue un preciso storytelling?
«Prima m’innamoro di un’avventura, poi leggo per mesi, quindi inizio a scrivere seguito dai miei autori senza i quali non arriverei mai in fondo. Quelli bravi a scrivere sono loro».
Con la sua parlantina lei sarebbe diventato anche un buon avvocato, non crede?
«La smentisco subito. Dopo la laurea il mestiere l’ho pure provato a fare, ma dopo un paio d’anni decisi di chiuderla lì. Evidentemente non era quello il mio destino».
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