È morto Aldo Biscardi, il profeta del "calcio parlato"
Il lunedì, cadesse il mondo, si processava il calcio. Più che un tribunale, un palcoscenico, più che televisione, commedia dell’arte. Bisognava inventarsi un bar sport istituzionale senza Luisona dentro la vetrinetta, per buona pace di Stefano Benni, ma con tanti focosi personaggi che parlassero del tutto e del niente, bastava ringhiare, mordersi un po’ le caviglie, abituare lo spettatore, ancor privo di cinismo, a usare il pallone per sfogare in modo plateale le repressioni della domenica pomeriggio. Tac! Aldo Biscardi, il poeta dell’italiano sghembo, il Cristo laico coi discepoli della penultima cena (ce ne sarebbe stata un’altra e un’altra ancora, per decenni), che giornalista lo fu per davvero a Paese Sera, s’inventò il teatro del dopo partita, il format antesignano di tante baruffe postume fra i muri posticci di uno studio Tv di mamma Rai.
Ebbene sì. Lui, l’Aldo, se n’è andato oggi, domenica 8 ottobre, a ottantasette anni. Era di Campobasso, anzi di Larino. L’etnia sudista, la solita mescolanza di calore e di indomita furbizia, lo aiutò a farsi largo in una televisione degli Ottanta assai confusa e senza manovratore. Il cavallo perse il monopolio, ritrovandosi a guerreggiare con il network del supermercato accanto e dei consigli per gli acquisti. Viale Mazzini aveva bisogno di idee per trattenere il cliente abituale, che avrebbe avuto un’alternativa concreta e a tiro di pollice. E non la solita innocua TeleCapodistria.
Ora si litiga, e nulla ci scalfisce, abbiamo spalle forti per capire qual è il bene e quale il male. Allora venivamo da una specie di eden catodico e l’arrivo dell’armata Brancaleone pallonara, scosse non poco le antenne d’Italia. Biscardi ci conquistò da magnifico antieroe. Abile nel versare alcol nel caminetto dello sport con la stessa prosopopea di un Don Chisciotte, che non sapeva bene cosa combattere. Però il 1983 resta data storica per la televisione: Il Processo del lunedì ci rovesciò nei salotti la parte peggiore del calcio, ma quella in quel momento serviva per calamitare le folle, ancora piuttosto composte con la loro bandiera sventolante e nulla più.
Biscardi, si diceva, non s’improvvisò capitano di un U-Boot serpeggiante sotto gli stadi che ogni santo lunedì lanciava missili sui tifosi distruggendo inni e passioni, o esaltandole, no. A Paese sera, il giovane giornalista Aldo esordì con uno sgoop (lui lo scoop lo pronunciava così), rivelando che i gioiellini della Roma Capello, Landini e Spinosi avrebbero indossato la maglia della Juventus. Il cielo si aprì rovesciando fulmini, tant’è la capitale ribollì per giorni. Aveva la stoffa, il ragazzo. La mania per l’anteprima bomba la conservò anche dentro il piccolo schermo, d’altronde il mondo del balon è perfetto per subire improvvisi terremoti.
Il destino vuole che la morte di Biscardi giunga nell’anno del Var, il moviolone in cambo che l’Aldone nazionale invocò per una vita intera, nonostante la prova provata spenga, di fatto, qualunque polemica. E i processi suoi, poi Biscardi dieci anni dopo emigrò su Tele +, si fondavano sul dubbio del rigore o sull’entrata a martello del difensore sul centravanti, e ciò potrebbe apparire come una contraddizione.
Non fu tutto oro e luccichii. Si sa, il mondaccio cane del calcio è un dottor Jekyll e un mister Hyde. Si scrisse che in un certo periodo fosse Luciano Moggi a dettare la scaletta (Biscardi si difese: «Ero io a prenderlo in giro promettendogli favori e poi mandando in onda esattamente il contrario») e si lesse anche di un severo bando della Juve. Per anni nessun bianconero di Torino partecipò alle trasmissioni. Ordine di Boniperti.
Comunque il salotto biscardiano offrì sedute a illustri italiani. Tipo Giulio Andreotti, che una sera annunciò il non trasferimento di Falcao all’Inter o le rivelazioni del Berlusca su Kakà: dal Milan non se ne andrà. Si ricorda una battaglia memorabile fra Maurizio Mosca, il regista Pasquale Squitieri e Vittorio Sgarbi. Magari su You Tube riuscite a trovare quello spezzone irragiungibile.
E su tutto l’inesauribile slang del nostro e le sue celeberrime battute: «Vi dirò dove Baggio giocherà l’anno scorso», una delle centinaia che restano in teca per il mondo che verrà.
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