Ecco come si fa e come si mangia la gustosa pitina

TRAMONTI DI SOPRA. Un prodotto gastronomico che rappresenta l’anima di un territorio montano: grazie alla pitina, protagonista della nuova uscita della community Noi Messaggero Veneto, sabato, 25 novembre, al centro polifunzionale di Tramonti di Sopra i nostri lettori hanno potuto conoscere la Valtramontina e la sua eccellenza culinaria. La giornata, alla quale hanno partecipato gratuitamente una quarantina di persone, è stata organizzata dal nostro quotidiano insieme a Ersa, Slow food e PromoturismoFvg. Dopo la partenza in pullman dalla redazione di Pordenone, i lettori sono stati accolti dalla comunità valligiana in un piacevole tour alla scoperta di come si prepara e cucina questo salume tipico della cucina povera di un tempo ma ora richiesto anche dai ristoranti stellati, protetto come presidio Slow food e con il marchio Igp.
Il primato
Dopo l’introduzione di Pierluigi Cannas per il Messaggero Veneto, il quale ha portato il saluto del direttore Omar Monestier, è stato lo stesso sindaco tramontino Giacomo Urban a fare gli onori di casa. Roberto Peduto, fiduciario della Condotta pordenonese di Slow food ha poi svelato come «la pitina sia stata il primo presidio ufficiale del Friuli Venezia Giulia», annunciando che si sta completando l’iter per un altro sapore unico, quello del fagiolo antico di San Quirino.
La ricetta
Ma la giornata era tutta dedicata alla pitina e ai suoi produttori: in primis Filippo Bier, mitico macellaio della vicina Meduno che tra i primi, seguendo le orme del compianto collega Mattia Trivelli, ha guidato da un trentennio a questa parte la riscoperta del prodotto che ormai poche famiglie facevano ancora per uso domestico. «Era il metodo migliore – ha spiegato ai lettori – per conservare la carne di capra». Insieme con uno dei suoi giovani allievi, Manuel Gambon che ha aperto a sua volta un’attività di produzione della pitina, ha mostrato dal vivo la preparazione.
Dall’insaporimento della carne, prima di aggiungere anche erbe montane e aglio immerso nel vino, fino alla creazione della forma a polpetta con una tazza e all’infarinatura nel mais. A questi procedimenti segue poi l’affumicatura in un fuoco con legno di ginepro. E mentre i partecipanti assaggiavano un’altra pitina già pronta, Bier ha fornito i numeri del successo legato alla “scoperta” da parte di Slow food: se fino ai primi anni Duemila ne produceva al massimo tre quintali l’anno, dopo ci si è attestati sui 40 quintali.
Nel piatto
L’altro grande artefice della riscoperta della pitina è Alido Rugo, che insieme alle volontarie della Pro Loco che presiede, ha mostrato la preparazione del piatto tipico tramontino della pitina tal brut (brodo in lingua friulana) di polenta. «Non l’avevo mai assaggiata – ha rivelato degustando il piatto Flaviano Collovati nostro lettore di Teor – davvero speciale». «Un sapore interessante – ha fatto eco Adriana Scardovi di San Quirino – e una giornata utile per scoprire il territorio». «Complimenti al Messaggero Veneto – ha aggiunto Elena Amadori di Udine – per queste iniziative».
A tavola
Dopo una rapida visita al vicino centro del Parco delle Dolomiti Friulane, pranzo per tutti all’agriturismo Borgo Titol di Roberto Ferraro, altro produttore del presidio che ha proposto un apprezzato menù a base di pitina e altre specialità friulane.
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