Emozioni e amore: a Udine tutto il fascino della Bohème

Rame Lahaj Lana KosDa sempre, forse seconda solo a Traviata, Bohème, assieme a Traviata, rappresenta il momento più alto cui il melodramma è arrivato a cantare la bellezza dell’amore e lo struggimento del suo sfiorire.
Fin dal suo apparire nel 1896, Boheme è entrata di prepotenza nell’immaginario collettivo a significare lo struggimento “dell’apparir del vero”, per dirla con Leopardi, quando cioè alla spensieratezza e irruenza della gioventù, subentra la pesantezza della vita adulta col suo carico di dolori e pensieri.
La storia di Boheme è questo: il racconto di un amore improvviso e travolgente tra due giovani ricchi di sole speranze e sogni, fatalmente segnato dalla morte per tisi di lei, Mimi. Su questa storia Giacomo Puccini ha intessuto una paritura musicale di grandissimo respiro emotivo, che ammalia e commuove.
E puntualmente è quello che accade con questa Boheme, targata Teatro Verdi di Trieste, in scena a Udine il 25 e il 26 prossimo.
Affidato alla bacchetta direttoriale di Renato Belsadonna, lo spettacolo restituisce a pieno il portato musicale e spettacolare dell’opera, seguendone l’evolversi lirico e drammaturgico in un crescendo emozionale di forte impatto.
Grazie anche all’equilibrata e rigorosa regia di Marco Gandini che, in tempi in cui l’opera lirica viene spesso "forzata" da regie spesso insensatamente attualizzanti, per questa Boheme triestina ha optato per un allestimento tradizionale con le scene di Italo Grassi e i costumi di Anna Biagiotti, ambientandolo negli anni in cui l'opera è stata scritta, una "fedeltà" al libretto che suona quasi come una provocazione all'incontrario, oggi!
«Preferisco usare il termine “classico” – ci dice il regista –, poiché se parliamo di “tradizione" dovremmo distinguere tra la buona e la cattiva.
Un allestimento classico, come ritengo sia questo di Boheme, è quello che aderisce alla storia e alla musica, e nel quale c’è “riconoscibilità” del testo. Ovviamente siamo nel campo della rappresentazione teatrale, e quindi c’è bisogno anche di una astrazione e di un uso simbolico degli oggetti espressivi (scena, luce e azione)».
Quali i punti di forza del libretto e della musica sui quali o dai quali è partito nel pensare all’allestimento? «Il personaggio di Mimi è principale, perché a esso è affidata la tessitura melodica struggente dell’opera.
A lei anche è assegnato l’aspetto sognante, trasparente, il senso del trapasso dolce, l’assopirsi nella morte, la determinazione di sconfiggere quella solitudine fatale. Lei stessa poetessa al par di Rodolfo che rappresenta quella speranza di una morte dolce. Con Mimi muoiono anche tutti gli altri personaggi, nel passaggio da una gioventù spensierata a una consapevolezza del dolore».
Quale oggi il valore del melodramma? Che sintonia può avere con i nostri tempi. «Il melodramma ci parla dei grandi temi, della fede, dell’amore, della libertà, del dolore, e veicola la comprensione di questi temi usando il mezzo più potente, che è la musica, nella forma più evoluta, la forma classica.
Quindi il melodramma ha una funzione istruttiva altissima. Perché la cultura è in primis la lingua; e la lingua italiana oggi è conosciuta nel mondo solo per mezzo dell’opera lirica. Chi non sostiene la lirica, non sostiene la lingua italiana e quindi la cultura italiana nel mondo».
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