Far East Film Festival, cinema e geopolitica: l'Asia tra dazi, crisi e nuove alleanze

A Udine lo sguardo sul grande schermo si intreccia con le tensioni globali: tra Hollywood frenata, Vietnam in crescita e il nuovo volto della Cina

Gian Paolo Polesini

Se il cinema è sovrastante — d’altronde il Feff è notoriamente un festival d’arte — non per questo i consueti ragionamenti geopolitici d’obbligo fra Occidente e Oriente, proprio in questi giorni di ravvicinamento con l’estremo Est, si sfilano nel silenzio. Tutt’altro.

C’è un ribollire di pensieri colti che con naturalezza fuoriescono dalle sceneggiature asiatiche perché funziona così mentre guardi un film: la realtà interloquisce sempre col fantastico e lo condiziona.

Restando nel comparto cinematografico oggi valgono un biglietto doppio il nipponico “A Bad Summer”, alle 19.30 e, alle 21.45, la mission impossible sudcoreana, “Pilot”. Questo giro numero 27 del “Far East”, fra l’altro, coincide con l’uscita dei dazi trumpiani lanciati sulla Terra e la reazione immediata è stata: parliamone con chi ne sa della questione.

Giulia Pompili de “Il Foglio” e Francesco Radicioni di “Radio Radicale” da anni interpretano il presente e il futuro dell’Asia attraverso la conoscenza di un Continente in lesta evoluzione e che non sempre ci fornisce la mappa delle traiettorie economiche. In loro compagnia si srotola la rassegna stampa, ogni mattina alle 9, al Giovanni da Udine.

Sappiamo delle previsioni del Fondo monetario internazionale al ribasso per quanto riguarda la crescita globale e il declassamento dell’Asia del 2025 dal 4,6% al 3,9%, oltre alle oscillazioni dello Yuan cinese. Per non allontanarci troppo dal fulcro cinematografico udinese, Radicioni ci informa di «un passo indietro della Repubblica Popolare Cinese nei confronti di Hollywood. Una delle tante misure prese d’istinto in risposta al 143% imposto dagli Usa. È stata imposta una limitazione alle opere Usa in entrata. Gli effetti non tarderanno a travolgere un mercato immenso come il loro».

Forse è ancora calda la scelta di Trump per capire se finiremo in un domino catastrofico o se ci sarà la possibilità di frenare in qualche modo la caduta libera dei mattoncini.

«Senza dubbio — spiega Giulia — la rivoluzione di aprile ha intaccato i modi della diplomazia con possibili risvolti negativi sulla crescita asiatica. Bisogna attendere ancora per la certezza. Trump ha agito con la forza confidando nelle negoziazioni necessarie da parte dei “daziati”, osservando dallo Studio Ovale quale sarà il loro orientamento: affiancarsi all’America o alla Cina? Per interpretare il periodo storico è fondamentale non perdere di vista Pechino e Washington».

Con la competenza di Radicioni facciamo un salto in Vietnam, un polo fra i più imponenti di questa guerra senza bombe. «Infatti il Vietnam è il terzo Paese per surplus commerciale con gli States: ben 123 miliardi di dollari. Molte multinazionali cinesi e americane hanno già deciso di trasferirsi nella Repubblica socialista. La globalizzazione non è affatto finita come potrebbe sembrare spiata da qui. Con il 46% sui dazi, il Vietnam è stato il primo a trattare con il presidente».

Sicuramente il cinema ci chiarirà nel futuro l’azione distruttiva di Trump: più facile sul grande schermo che spiegato sui giornali, che dice Giulia?

«La prima interpretazione è di carattere elettorale. L’istinto distruttivo di mister Donald si è reso necessario, secondo la sua strategia, per ricostruire in modo diverso, anche se Trump si è spinto ben oltre le aspettative iniziali, ovvero quelle di riequilibrare la bilancia commerciale. Invece si è materializzato una specie di nuovo Capitan America, più cattivo, arcigno e vendicativo dell’originale. Deve però stare attento al rinculo della sua arma».

Nel frattempo in Asia, Francesco?

«Due le risposte: quella cinese è stata politica. La Cina del Duemila, molto concentrata sull’economia, non esiste più. Ogni nuova scelta è solo politica, come quella di spingere sui consumi interni o di attuare una repressione a Hong Kong. Pechino è l’unica a non aver alzato il telefono e composto il numero della Casa Bianca. Si è altresì premurata di disporre una black list sulle limitazioni commerciali. Anche gli alleati storici come il Giappone e Taiwan non pare abbiano gradito le imposizioni degli States. E così Xi Jinping si sta divertendo a smistare gli amici della Cina dai nemici della Cina».

Apple sta pensando di trasferire in India il lavoro cinese.

«Se ne parla da tempo, sì. È una possibilità non ancora certificata, ovviamente. Gli AirPods, e questo è già realtà, invece, vengono prodotti in Vietnam come il 60% dei 220 milioni di Samsung venduti nel mondo».

Altro problema imminente: le elezioni in Corea del Sud.

«Potrebbe salire al potere un governo di centro sinistra con evidenti risvolti di politica internazionale: sarebbe possibile un voltafaccia all’America e al Giappone con un riavvicinamento alla Corea del Nord».

Nell’attesa di un cielo sereno, o nuvoloso che vorrà essere, fino al 2 maggio ne abbiamo di film curiosi da vedere qui a Udine. E pace. —

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