Fariselli: «Suonavamo solo quello che ci piaceva»

«I concerti che facciamo oggi sono molto più significativi di quelli degli anni Settanta, perché una volta erano in tanti a pensarla come noi, ora invece siamo delle mosche bianche.. di sessant’anni!». Se voleva un claim per lanciare il concerto di ieri sera al Comunale di Monfalcone, Patrizio Fariselli, ne ha uno proprio sotto il suo naso. Sono queste parole, dette dal tastierista, compositore e fondatore degli “Area”, a tratteggiare la storia di un gruppo tra i più rappresentativi (se non il più) della musica italiana degli anni Settanta e Ottanta, che ci ha lasciato in dote i suoi componenti, impegnati oggi a portare avanti e a far crescere lo stesso spirito sperimentale e indipendente di allora. Fariselli si è presentato così sul palco di Monfalcone con una inusuale formazione, un trio composto da Marco Micheli al basso e Walter Paoli alla batteria, dando vita all’Area Open Project. «Il progetto è mutevole e prevede che non sia mai uguale a se stesso, visto che a volte siamo in tre, altre in cinque e altre ancora è composto da persone diverse. Diciamo – ci ha confidato Fariselli, prima di chiudersi in una camera di registrazione in Svizzera, per mixare la colonna sonora di un film - che è la diramazione del progetto “Area” principale, che vuole riprendere il concetto di gruppo aperto, approfondire materiali e repertori». Il senso, dunque, rimane sempre quello, ovvero la sperimentazione e l’interazione e a sorprendere è la coerenza con se stessi che i componenti degli Area, Fariselli in primis, hanno sempre mantenuto intatta. «Non abbiamo mai avuto il desiderio di compiacere qualcuno, ma solo quello che ci piaceva fare. Al giorno d’oggi – ammette Fariselli con la voce lievemente incrinata dal rammarico - il mercato è troppo invadente e determinante per lo sviluppo musicale dei ragazzi. La mercificazione della musica fa passare il messaggio che la cultura è roba da sfigati».
L’Area Open Project vuole essere, invece, un omaggio, o meglio una prosecuzione della natura delle sue origini, quelle che portano il segno indelebile di un mito come Demetrio Stratos. «Questi concerti rappresentano prima di tutto per noi, ma anche per il pubblico, un’occasione per condividere un’esperienza unica, per interagire con musicisti che non conosciamo, artisti emergenti, giovani meritevoli e contaminarci gli uni con gli altri». Mica poco, se si pensa che questi signori qui, Fariselli, Micheli e Paoli, non sono proprio dei giovinetti e che, volendo dirla tutta, avrebbero potuto scegliere una via più comoda. «Nessuno di noi ha finito gli studi classici, ma alla fin fine siamo diventati i musicisti blasonati che siamo – ammette il compositore lasciandosi sfuggire una risata- facendo esperienza da autodidatti».
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