Finardi in concerto a Tolmezzo
TOLMEZZO. «Forse oggi più che mai ci sarebbe bisogno di messaggi impegnati, quelli lanciati dalla “musica ribelle”… invece noto che “la musica che gira intorno”, tanto per citare Fossati, ha più che altro una gran voglia di “escapismo”».
Qualche parola, poche frasi e già Eugenio Finardi ci ha mirabilmente tratteggiato il suo pensiero su ciò che pensa del nostro presente musicale.
Lasciandoci parimenti anche qualche indizio su quel che lui ama e rimpiange. Cita Fossati e si lascia sfuggire un accenno all’eredità di uno dei manifesti meglio riusciti del panorama musicale italiano, la sua “musica ribelle”.
Eppure non c’è malinconia nella sua voce, forse un filo di rammarico per un presente un po’ piatto, ma non tristezza. Anzi, Finardi ha appena fatto partire il suo tour “40 Anni di Musica Ribelle – Diesel Edition” e in lui si sente tutto l’entusiasmo di chi, dopo tanto tempo, ha ancora molto da dire.
Il debutto del tour è stato eccezionale», ci confida ancora elettrizzato dopo il concerto a Porto Torres e prima di arrivare a Tolmezzo, dove sabato 29 aprile si esibirà al teatro Candoni come primo assaggio di Folkest, con l’organizzazione di Nuova Pro Loco Tolmezzo.
Questo “40 Anni di Musica Ribelle – Diesel Edition”, infatti, non è la semplice celebrazione di una canzone: il tour rappresenta anche il manifesto di un atteggiamento, un modo di vivere la musica che nel 1977 toccò quello che alcuni considerano l’apice della carriera di Finardi con la pubblicazione di “Diesel”, un album che fotografava le tensioni di quegli anni.
«A me ogni tanto pare che la storia della musica italiana sia entrata in una sorta di loop – ammette il cantautore milanese – come se stessimo tutti aspettando qualcosa di veramente nuovo e, nel mentre, facessimo ritornare in continuazione ciò che di buono c’è stato dagli anni Cinquanta in poi».
La considerazione si poggia soprattutto su quelli che dovrebbero rappresentare il nuovo, i giovani, i gruppi di oggi che, per Finardi, «sono stati quasi tutti incapaci di raccogliere la pesante eredità dei cantanti del passato». E allora a chi si affida, l’inventore della musica ribelle?
«Devo dire che ultimamente ascolto moltissima musica classica, per esempio in questo periodo sono rapito dallo “Stabat Mater” di Pergolesi». Ecco, se il presente non ci soddisfa, si va dritti dritti nel Settecento. Ma qualcosa che si salva, nell’oggi?
«Mi piace Ed Sheeran, lo trovo un personaggio molto curioso, anche se in realtà me l’ha fatto conoscere mia figlia».
Questo è, in fin dei conti, Eugenio Finardi. Quello che in molti etichettano come il padre dell’indie («non posso dar loro torto – chiosa lui – d’altronde la Cramps, la mia casa discografica del tempo, era famosa per essere la casa degli indipendenti e alternativi») e che a metà degli anni Settanta scriveva testi dove a padroneggiare era il disagio dovuto al riflusso culturale nell’Italia di quegli anni.
Questo è ed era quel Finardi che sabato festeggerà con i friulani a Tolmezzo i primi 40 anni della sua musica ribelle, augurandosi e augurandoci «che arrivi finalmente qualcosa di nuovo che ci faccia uscire dal loop».
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