Gaia Baracetti: ecco “Che male c’è” ad avere trent’anni di questi tempi

Scrive forse ancora piú veloce di quanto parla, Gaia Baracetti. Almeno a giudicare dalle numerose pubblicazioni che vanta ad appena 32 anni. Ieri sera alla libreria Friuli ha presentato il secondo...
Di Michela Zanutto

Scrive forse ancora piú veloce di quanto parla, Gaia Baracetti. Almeno a giudicare dalle numerose pubblicazioni che vanta ad appena 32 anni. Ieri sera alla libreria Friuli ha presentato il secondo volume della trilogia “Che male c’è” (Phasar editore, 572 pagine, 18 euro). Una «vicenda generazionale», come spiega l’autrice «senza per questo essere arrogante – precisa – perché non parlo a nome di nessuno». La vicenda racconta la storia di tre amici dai 13 e fino ai 30 anni. Una vicenda per cui Gaia è stata catapultata in un viaggio all’incontrario: da Udine, la città dove è nata, alla Carnia, dove ora vive e trae innumerevoli ispirazioni.

“Che male c’è” «parla di me e della mia generazione - spiega Baracetti –. Ci sono tanti luoghi comuni che vedono quella dei trentenni come una generazione iper privilegiata, poiché nata in un periodo di benessere, ma al tempo stesso anche “sfigata”. Nel libro parlo anche di questo, cercando di rovesciare alcuni luoghi comuni. Perché il nostro è un presente di transizione verso un futuro che sarà inevitabilmente diverso rispetto a quello vissuto dai nostri genitori. La nostra generazione è stata identificata con il precariato e con un’aurea negativa. Ma è un errore. La nostra è un’avventura che rifiuta le etichette».

Il secondo capitolo della trilogia prosegue il racconto iniziato dai 13 anni. «I personaggi iniziano ad avere tra i 20 e i 25 anni – racconta l’autrice –, le storie si allargano e divergono un po’ fra loro». Un tomo che ha portato Gaia in montagna, su fino in Carnia pur di cesellare fino all’ultimo la ricerca. «Ho preso una casa in affitto per arricchire di dettagli la storia – spiega –, ma poi qui si sta veramente bene e ho deciso di restare. Il libro è molto realistico e narra di vicende che ho vissuto io o che hanno vissuto persone che conosco. È una storia collettiva».

Il motto per Gaia è «vincere gli stereotipi». Che siano sulla sua generazione, sui giovani o sulla Carnia, poco importa. L’importante è sapere guardare con gli occhi puri, come i suoi.

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