Al Giovanni da Udine Paolo Nori racconta San Pietroburgo, tra letteratura e attualità

Lo scrittore e traduttore sarà protagonista domenica 23 al Teatrone:  «La Russia mi piace perché mi fa paura»

Mario Brandolin
La statua di Lenin nella piazza di san Pietroburgo: la città e i suoi scrittori sono al centro di lezioni di Storia
La statua di Lenin nella piazza di san Pietroburgo: la città e i suoi scrittori sono al centro di lezioni di Storia

Sarà San Pietroburgo e le avanguardie il tema della quarta Lezione di Storia, per il ciclo Capitali della cultura, in calendario al Giovanni da Udine domenica 23 febbraio, alle 11. Relatore lo scrittore e traduttore Paolo Nori, un grande e appassionato studioso della cultura e della letteratura russe.

Cultura e letteratura russe che hanno trovato proprio in San Pietroburgo il loro terreno più fertile, dando vita in pochi decenni dalla sua fondazione agli inizi del XVIII secolo a un susseguirsi vertiginoso di scrittori e romanzi straordinari. Dal poema fondativo della cultura russa, Eugenio Onegin di Aleksandr Sergeevič Puškin, edito nel1933 ai capolavori di Dostoevskij, Gogol, Tolstoj, Lermontov per arrivare alle avanguardie del secolo scorso.

E non poteva esservi un narratore più giusto di Paolo Nori a raccontare Pietroburgo, la sua Pietroburgo, perché il suo è uno sguardo originalissimo, oltre che uno stile narrativo sorprendente e unico, che fa soprattutto risaltare le risonanze che quel mondo continua ad avere anche per noi oggi.

A lui si devono, alcuni imperdibili saggi sulla cultura russa. In particolare, Sanguina ancora. L’incredibile vita di Dostoevskij (Mondadori, 2021); I russi sono matti. Corso sintetico di letteratura russa1820-1991 ( Salani, 2016), Vi avverto che vivo per l’ultima volta. Noi e Anna Achmatova (Mondadori, 2023), e Una notte al Museo Russo (Laterza,2024). Ultimo suo lavoro Chiudo la porta e urlo (Mondadori, 2025), sul poeta romagnolo Raffaello Baldini. L’abbiamo sentito.

Nel suo libro “I Russi sono matti. Corso sintetico di letteratura russa” lei dice che la Russia le piace perché “fa paura”. Ci spiega?

«L’ho detto in un’intervista che mi ha fatto un’italianista russa, Anna Jampol’skaja, per la rivista Inostrannaja literatura (Letteratura straniera), che mi ha chiesto, alla fine, «Ma perché le piace così tanto la Russia?», come se fosse stupita, del fatto che mi piaceva così tanto la Russia, e io le ho risposto, con la pancia, senza riflettere, che la Russia mi piace perché fa paura. È vero. Io, quando ho letto per la prima volta Delitto e castigo, a 15 anni, nel momento che Raskol’nikov si chiede «Ma io, quanto valgo? Sono come un insetto o sono come Napoleone?», mi sono fermato nella lettura e mi son chiesto «E io, quanto valgo? Sono come un insetto o sono come Napoleone?», e ho avuto l’impressione che quel libro lì, pubblicato 118 anni prima a 3.000 chilometri di distanza, avesse aperto dentro di me una ferita che non avrebbe smesso tanto presto di sanguinare e ho avuto paura. La potenza, la grandezza della letteratura russa a me piace e, contemporaneamente, mi fa paura, anzi, forse mi piace proprio perché fa paura».

A proposito di Pietroburgo lei, citando il poeta Iosif Brodskij, dice che “la letteratura in quella città era più potente della realtà.” Perché?

«In un saggio che Brodskij ha dedicato a Pietroburgo (Guida a una città che ha cambiato nome) c’è scritto che se uno passa davanti alla casa dove Dostoevskij, nel 1849, è stato interrogato dalla polizia segreta, non c’è nessuna guida turistica che spiega ai turisti cos’è successo in quell’edificio a metà del diciannovesimo secolo; se uno passa davanti alla casa dove Rasol’nikov, in Delitto e castigo, è stato interrogato da Porfirij Petrovič, il giudice istruttore, è quasi certo che ci sia qualcuno che racconta questa storia ai turisti. La finzione, a Pietroburgo, dice Brodskij, è più forte della realtà».

Nel suo libro “Una notte al Museo Russo”, racconta che la censura che ha subito nel 2022, le furono annullate, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, 4 ore di lezioni su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano, è stata positiva, per lei, lo pensa davvero?

«Dal 1999, che è l’anno che ho cominciato a pubblicare, il 2022 è stato l’unico anno che non ho pubblicato neanche un libro, ed è stato l’anno in cui ho fatto più presentazioni. Dopo la censura mi hanno cercato da tutto il mondo, dalla Cina, dal Sudamerica, dagli Stati Uniti, Fox news voleva un’intervista con me, una rete televisiva russa mi ha scritto perché volevano venire a casa mia, a Casalecchio di Reno, per fare un documentario su di me. Io gli ho detto che era meglio di no, che non c’era niente di interessante, a casa mia, e che l’unica cosa che forse c’era da raccontare, era la reazione che c’era stata alla censura, che avevo ricevuto un numero impressionante di inviti, che non avevo potuto accettarli tutti ma che le quattro lezioni che mi aveva impedito di fare la Bicocca sarebbero diventate, alla fine dell’anno, 104, in tutta Italia, e che il mio caso minuscolo e un po’ ridicolo dimostrava una cosa che i russi sanno molto bene: che la letteratura è più forte di ogni censura e di ogni dittatura». 

 

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