Giulia Blasi e le “Donne al volante”

Alla Biblioteca comunale dibattito a più voci con la scrittrice pordenonese per il progetto "Donne al volante"

PORDENONE. Ci sono molte questioni difficili nella vita di una donna. Si va dal binomio lavoro-famiglia, agli stipendi più bassi rispetto agli uomini, alla disparità di trattamento in qualsivoglia ambito in base all’avvenenza e all’età.

Ma c’è una cosa più difficile di tutte. Far capire al resto del mondo, senza passare da femministe-fattucchiere inacidite e con mezzi diversi dalle politiche delle pari opportunità, che questi problemi esistono e fanno male a tutti, non solo alle dirette interessate.

Per questo esistono progetti come “Donne al volante”, che ha planato su Pordenone con tre ospiti d’eccezione. Si tratta di un ciclo di quattro incontri (i prossimi saranno giovedì 16 aprile a Udine e il 22 aprile a Trieste) che propone storie di modelli femminili aldilà della seduzione e all'accudimento, proposti dagli organizzatori: la giornalista Simona Regina e la casa editrice Scienza Express edizioni, con il contributo della Regione.

Le Donne al volante hanno incontrato il pubblico alla Biblioteca Comunale per un dibattito a più voci con la scrittrice pordenonese Giulia Blasi, la psicologa Maria Antonietta Annunziata e Fernanda Flamigni, autrice del libro autobiografico "Non volevo vedere".

Ne abbiamo parlato un po’ con Giulia Blasi che scrive libri (Deadsexy, Nudo d’uomo con calzino, Il mondo prima che arrivassi tu, Siamo ancora tutti vivi) articoli, post e tweet. e conduce su Radio 1 Rai Hashtag Radio Uno, un programma quotidiano dedicato alla satira su Twitter.

- Si è mai occupata di tematiche “al femminile”?

«In modo indiretto ma in tutto quello che ho fatto. Già da adolescente avevo notato che c’era qualcosa di strano nella nostra società. Vieni giudicata comunque in base all’aspetto fisico e anche se nasci come intellettuale senza funzioni decorativa ti senti sempre “in gara” con le altre per quello che sembri».

- E secondo lei in che modo si possono cambiare un po’ le cose?

«Facendo capire che stiamo perdendo del materiale umano importante, delle abilità. In più anche gli uomini dovrebbero sentirsi liberi di curare la famiglia».

- Saprà forse che i congedi parentali non vengono usati quasi mai dai padri, per varie ragioni..

«Sì, il motivo è anche culturale. In un programma ho letto la dicitura “stay at home dad” (padre che sta a casa) come presentazione di un concorrente. In Italia la stessa dicitura è stata tradotta con “disoccupato”».

- Quindi servirebbero adeguati interventi sia culturali che politici?

«Le politiche di genere possono arrivare fino a un certo punto, perché il diavolo è nei dettagli. Per fortuna, le nuove generazioni sono più egalitarie». E con buona pace degli anni ’70, concludiamo noi.

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