Gli 80 anni di Paolo Goi, lo storico dell’arte che ha saputo educare il popolo dei turisti

La carta d’identità attesta che Paolo Goi è nato il 22 febbraio 1939 in quel di Maniago, anche se il suo cognome rimanda a una solida radice gemonese, da cui il suo fluente friulano: quanto alla professione forse non vi è proprio scritto “storico dell’arte” e “conservatore di museo”, profili che oggi sfuggono spesso alle anagrafi per lasciare il posto al fai da te e al dilettantismo (nonostante il Pil ci insegni che la valorizzazione del patrimonio artistico abbinato al turismo faccia la differenza come anche per l’identità sempre più confusa e smemorata delle nostre comunità).
Sta di fatto che “il prof”, come lo chiamano simpaticamente i suoi collaboratori, ha tutte le carte non solo in regola, abbinando una Laurea in Lettere, indirizzo storico-artistico sotto la guida a Trieste di un maestro come Decio Gioseffi, per tutti noi un faro di intelligenza, oltre che un diploma di archivistica quanto mai determinante per il suo stile, ma ha soprattutto dimostrato in ogni singolo attimo della sua vita cosa è (o cosa dovrebbe essere) uno storico dell’arte e anche un conservatore di museo.
Altre informazioni per il suo identikit: professore in quel di Pordenone e alla Scuola di Restauro di Passariano, Ispettore onorario della Soprintendenza, Conservatore di Villa Manin nel 2000 e del Museo di Arte Sacra di Pordenone che ha allestito e amorevolmente arricchito dal 1995 al 2016, membro della Deputazione di Storia Patria del Friuli e dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Udine, e, non ultimo, presidente dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, grazie a lui attivissima di iniziative e pubblicazioni.
Soprattutto oggi, per la cronaca, Paolo Goi è un punto di riferimento in molti settori, a partire dal patrimonio della diocesi di Concordia (non uso il termine Friuli occidentale, avendomi lui stesso più volte spiegato che il contesto territoriale del fenomeno artistico non viaggia per delimitazioni burocratiche astratte) di cui ha scandagliato ogni minima testimonianza, allo studio della scultura di ambito veneto tra cinque e ottocento. Altra caratteristica: non si ferma davanti all’impossibile e le sue pubblicazioni sono “pesanti” nel senso ponderale del termine, tutte “di spessore” come quella dedicata al Duomo di Pordenone nel 1993, e vanno lette fino in fondo (consiglio per l’uso, anche in ogni nota a margine, perché anche quella più nascosta a volte cela informazioni inedite e decisive). Voglio inoltre qui ricordare alcune sue campagne catalografiche a partire dal censimento degli affreschi devozionali della provincia di Pordenone, quado ho avuto modo – in un settore che non era proprio il mio–, nel lontanissimo 1985, di essere da lui introdotta alla ricerca sul campo, paese per paese, muro per muro, sperimentando il profondo significato del “contesto” dell’opera d’arte, sia esso devozionale, sia popolare, un humus su cui ovviamente poi spiccano le singole personalità, fino a comporre una storia sociale (o religiosa) dell’opera d’arte.
In virtù di questa conoscenza capillare del territorio ha arricchito le sale del Museo diocesano di Pordenone, curandone i cataloghi a stampa, in tre tomi, allargando la sua azione sui fondi archivistici e su una dotatissima biblioteca, dove i suoi ex libris attestano le tante sue donazioni. Chi non è partito poi dalle sue ricerche per approfondire la storia della scultura in Friuli, per apprezzare Torretti, ma anche Pordenone o Amalteo?
Tra i contributi cult, che attestano la sua competenza nelle arti applicate, firmati con Giuseppe Bergamini, gli atti del convegno e il dizionario connessi alla mostra Ori e tesori d’Europa nel 1994, e le tante monografie su paesi del pordenonese, Cordenons, Fanna, Maniago Libero, e Marsure, e centinaia di altri contributi da far sbiadire i curricula anche dei più baroni tra gli universitari. Per rendergli oggi omaggio Andrea Marcon e Alessandro Fadelli, suoi fidi cavalieri in tante imprese accademiche, hanno dato alle stampe una Festschrift, corredata da ricca tabula gratulatoria, come sorpresa di compleanno (a meno che qualcuno non abbia saputo mantere il segreto), la cui dedica così recita: «A Paolo Goi, maestro di ricerca e di promozione culturale, “a forza d’occhio e di dito, e di quel raziocinio, che dalle sole osservazioni dipende”, Anton Lazzaro Moro, 1740». Auguri professore, chissà con quale nuova scoperta saprà presto sorprenderci
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