Gli ottant’anni di Dante Spinotti: «Lo spirito friulano mi ha aiutato»
Il direttore della fotografia due volte candidato all’Oscar farà festa nella sua casa a Ovaro. «Ai giovani dico: non restate in periferia»

OVARO. Il friulano Dante Spinotti, direttore della fotografia due volte candidato all’Oscar e vincitore di molti e importanti altri premi e riconoscimenti internazionali, festeggerà giovedì 24 agosto gli ottant’anni nella sua amata Carnia, nella casa di famiglia poco distante da dove nacque nel 1943.
Esce invece oggi, con perfetto tempismo benaugurale, la sua prima autobiografia "Il sogno del cinema. La mia vita, un film alla volta”, edito nella collana Le Polene de La nave di Teseo (311 pagine, 21 euro).

Un lavoro di scrittura a 4 mani con Nicola Lucchi, schietto nello stile fortemente riconoscibile, interessante e documentato nel ripercorre senza reticenze ma con dovizia di dettagli, molti dei quali inediti, la sua vita dall’infanzia nella casa di Muina fino a Hollywood.
Un viaggio nella storia del cinema, arricchito anche da fotografie originali scattate sui set internazionali di film di culto come “L.A. Confidential”, “Insider - Dietro la verità” e “L’ultimo dei Mohicani” candidati per la miglior fotografia all’Oscar e al Bafta.

La festa sarà nella casa della nonna materna sopra Ovaro dove Dante bambino visse e tornò ogni estate anche dopo che la famiglia si era trasferita altrove. «Amo la Carnia, sia per il suo verde rigoglioso, quasi una gemma, frutto dell’abbondanza di piogge, una ricchezza che altre parti nel mondi ci invidiamo, sia per la sua atmosfera di grigi. La trovo fantastica e con la famiglia cerco, per quanto possibile nella nostra vita di pendolari fra Italia e Stati Uniti, di trascorrervi più tempo possibile. Non solo in estate ma anche per il Natale che qui ha profumi e atmosfere unici. Sono legato a tutto il Friuli, a Udine in particolare abitava un mio mito e maestro che mi ha insegnato i rudimenti della fotografia: lo zio Renato Spinotti, operatore cinematografico e regista in Kenya. Fu infatti a Nairobi che i miei genitori, mia madre con grande sofferenza, mi mandarono a 17 anni assecondando il mio talento e la mia passione per la fotografia, ma anche come alternativa a risultati scolastici poco lusinghieri».

Un soggiorno fondamentale per apprendere i rudimenti del mestiere di “illuminare i film” creando la luce giusta per raccontare sentimenti e atmosfere, accanto a registi maestri del cinema mondiale come Michael Mann, Sam Raimi, Brett Ratner, e gli italiani Gabriele Salvatores, Lina Wertmuller ed Ermanno Olmi, solo per citarne alcuni...
«Abbiamo scritto questo libro, pensato soprattutto per i giovani, con l’intento che possa essere un utile strumento per capire come arrivare a fare il mio mestiere oltre a una piacevole lettura. Amo incontrare nelle scuole e nelle università studenti e studentesse che hanno la passione per il cinema. In America vengo spesso invitato a tenere delle lezioni in quando valutano importante insegnare attraverso l’esperienza di professionisti che il cinema lo fanno. Ho tenuto lezioni anche in Italia, ma forse qui sono meno interessati a questa didattica».
Come ha capito quale sarebbe stata la sua strada?
«Già da bambino avevo una grande passione per la fotografia, sviluppavo le foto sotto il letto e alle medie avevo un particolare talento nel disegno per il chiaroscuro. Con un poco di casualità e tanta tenacia, ho imparato facendo il mestiere, senza essere mai stato a una scuola di cinema. Capire la luce e l’ombra è la chiave per arrivare a illuminare un film tessendo un racconto oltre il testo e le parole degli attori».
Cosa consiglia a chi sente una passione per lavorare nel cinema?
«Bisogna muoversi, non si può pensare di stare in periferia, ma andare dove ci sono opportunità e esserci quando si tratta di cogliere le occasioni. Dopo un anno in Kenya tornai in Italia con una lettera di buone referenze che mi portò a lavorare alla Rai di Milano, un lavoro sicuro, ma io volevo fare il cinema e quindi ebbi il coraggio di mollare il posto fisso per andare a Roma, incoraggiato da Elio Petri e Marco Ferreri. Erano gli anni ’70. Il successivo grande passo fu accettare l’opportunità offertami dal grande produttore Dino de Laurentis e con la famiglia ci trasferimmo in America».
Quando hanno contato i suoi geni friulani nel suo successo?
«L’ambiente è molto competitivo e serve rigore, io ho sempre scelto d’istinto film innovativi dando importanza anche all’intesa caratteriale oltre che professionale e di rispetto con i registi. La determinazione e la testardaggine dei friulani che non mollano mai possono avermi aiutato».
Le piacerebbe tornare a lavorare in Italia?
«Molto! Forse potrebbero concretizzarsi delle proposte. Nel 2024 uscirà il film per la regia di Barry Levinson con Robert de Niro “Wise guys”, avevano già lavorato assieme ed è stato piacevole ritrovarsi. La storia dei boss mafiosi Genovese e Costello, entrambi interpretati da lui, nella New York degli anni ’50. Appena termina lo sciopero (autori e attori ndr) in America inizieremo la post produzione visto che le riprese sono tutte completate».
In chiusura il maestro Spinotti ci sorprende: «Sono sempre contento di parlare con la redazione del Messaggero Veneto, un quotidiano che apprezzo e verso il quale nutro gratitudine per essermi sempre stato vicino».
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