Gli stemmi dei luogotenenti veneti tornano a splendere in Castello
La pubblicazione di Raffaele Gianesini sulle opere recentemente restaurate. Sulle facciate dell’edificio il racconto di oltre 350 anni di storia friulana

Terminata nel 1420 la conquista del Friuli, la Repubblica veneta nominò una serie di luogotenenti che si insediarono nel Castello di Udine, già residenza dei Patriarchi. A ricordare il loro mandato vennero innalzati, sulle facciate del castello, gli stemmi dei casati di appartenenza. Il recente restauro delle facciate, finanziato dalla Danieli, ha interessato anche gli stemmi. A raccontarlo è una recente pubblicazione edita dal Comune di Udine nella serie “Quaderni della Biblioteca Civica V. Joppi - Fonti e Documenti”, promossa dall’assessore alla Cultura Fabrizio Cigolot, dal titolo Araldica Luogotenenziale sulle facciate del Castello di Udine (1420- 1797). Autore del quaderno è Raffaele Gianesini, già vice direttore della Joppi.
Nella pubblicazione Gianesini si sofferma sul lato sud, oggi ingresso ai Civici Musei, dove sono visibili gli stemmi innalzati da Giuseppe Morosini (1606), Cristoforo Valiero (1603) e Antonio Grimani (1610). Tre targhe posteriori alla grande iscrizione posta centralmente, sulla trabeazione, a celebrare il luogotenente “Giacomo Corner: Iacob Cornelius p. restitutor”, che risale al 1517. «Sul lato nord in corrispondenza del monumentale scalone progettato da Giovanni da Udine, che permette ancor oggi l’ accesso diretto dal piazzale al Salone del Parlamento – racconta Gianesini – è presente l’importante trittico delle armi Giustinian. In apice troviamo l’epigrafe che cita il luogotenente Giovanni (1548), committente dell’opera. Sulle lesene, in basso, la duplice dedica ad Aloisio Giustinian (1571) e, ancora sotto, privo di epigrafe, c’è lo stemma Donà, ramo “delle Rose” ».
L’opera di restauro non ha potuto ravvivare i colori e gli smalti irrimediabilmente erosi dal tempo e soprattutto dagli eventi atmosferici. A ciò si è rimediato commissionando un’analisi chimico- stratigrafica sugli stemmi. «Gli studi d’archivio svolti in parallelo hanno permesso di riscontrare sia tracce di doratura sulle cornici dei blasoni, sia conferme sulla policromia degli stemmi».
Nel volume l’autore attinge alle fonti coeve. In particolare all’Araldo Veneto del De Beatiano (1680), «le cui descrizioni e terminologie – spiega l’autore – sono non solo attuali, ma ampiamente riprese (a distanza di oltre due secoli e mezzo), dal Vocabolario araldico, allegato al Regio decreto. 652 del 1943 – Regolamento per la consulta Araldica del Regno. Normativa decaduta giuridicamente ma a sua volta, dal punto di vista scientifico, anch’essa riferimento d’uso corrente».
Secondo Gianesini, Venezia si prodigò costantemente per contenere i tentativi di primato di alcuni casati, ciò al fine di evitare che la Repubblica aristocratica venisse trasformata in signoria. «Di ciò si occuparono con costanza le leggi sulla repressione del lusso, tese a mortificare ogni ambiziosa rappresentanza. Le norme si occuparono anche di araldica, giungendo a disporre la rimozione di stemmi ed epigrafi di tenore adulatorio e l’autore indica alcune tracce di tali interventi sulle facciate del corpo centrale del Castello. Le prescrizioni coinvolsero, con ogni probabilità, anche le iscrizioni, a corredo dei tre busti dedicati ai luogotenenti Girolamo Ascanio Giustinian, Giovanni Tron e Benedetto Giustinian, sotto il portico del Lippomano oggi completamente abrase. Le attribuzioni sono dovute allo studioso friulano Giovan Battista Corgnali, che le rese pubbliche sul quotidiano La Patria del Friuli nel 1930.
Il materiale informativo e fotografico a corredo del testo è stato fornito dalla Biblioteca Nazionale Marciana, dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, dalla Biblioteca Estense Universitaria di Modena, dall’Archivio di Stato di Napoli, dalla Curia Patriarcale di Venezia - Ufficio Beni Culturali e dai Musei Civici Eremitani di Padova.
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