Gombrich e il Buddha senza santità: «Fu grande maestro del vivere bene»

Lo studioso londinese ha riletto la figura del saggio orientale: «Il suo esempio è una via di salvezza». Il buddhismo malinteso: giovare agli altri, cioè anche a se stessi? Ma nessuno esiste in due persone
PORDENONELEGGE: RICHARD GOMBRICH
PORDENONELEGGE: RICHARD GOMBRICH

PORDENONE. Una delle menti piú brillanti e originali di ogni tempo. Un pensatore piú che una guida spirituale. Un maestro, molto originale, che ci ha insegnato una cosa molto semplice: come vivere bene la vita.

È il Buddha di Richard Gombrich, uno dei massimi esperti delle religione (ha insegnato Sanscrito, Pali e Buddhismo all’Università di Oxford fino al 2004), che terrà oggi alle 15, al convento di San Francesco, nell’ambito di Pordenonelegge 2013, una lectio magistralis sul tema Il pensiero del Buddha.

Londinese, classe 1937, direttore del Centro di studi a Oxford, autore di piú di venti volumi e saggi sulla storia e sull’antropologia della religione (recentemente ha tradotto in Pali il libretto di un’opera sul Buddha, messo in scena al Welsh National Opera), Gombrich è approdato ieri pomeriggio per la prima volta in Friuli, ospite della rassegna letteraria.

Figlio della pianista Ilse e di uno dei piú famosi storici di storia dell’arte (sir Ernst Gombrich), lo studioso inglese ha avuto un ruolo molto importante nella datazione della morte del Buddha che, grazie ai documenti ritrovati in Sri Lanka, è stata situata attorno al 404 avanti Cristo.

Recentemente il docente inglese ha pubblicato un denso volume (in Italia edito da Adelphi) che mette in luce le idee fondamentali di uno dei «pensatori piú importanti di ogni tempo». Sostenendo una tesi diversa e decisamente controcorrente.

«Il mio intento – ha spiegato ieri Richard Gombrich – non era quello di rovesciare quanto scritto finora, ma di allargare le conoscenze, rendere piú ampia la visione della figura del Buddha, che ci ha insegnato tante cose, ma una molto importante: la via della salvezza».

E in quest’ottica, ha spiegato il professor Gombrich, «per Buddha era predominante questo aspetto dell’insegnamento della religione che non risponde soltanto dunque all’aspetto finale, ma che ci spiega come vivere bene la vita».

Un Buddha, insomma, piú “terreno”, in contrasto con la figura sovrumana e onnisciente della tradizione. Che amava la vita sociale («ha fondato la compagnia dei suoi discepoli»). Un uomo pratico, il cui pensiero è paragonabile a quello dei piú grandi saggi di tutti i tempi. Che ci insegna che nell’esistenza la continuità piú importante è quella morale. «Non siamo tutti uguali. Se non ci fosse la pluralità di attori, come potrebbe esistere il singolo? Ciò che ci rende individui è il fatto che abbiamo una biografia e un aspetto morale. Siamo tutti biografie, che possono durare molte vite. Ed è quella morale la continuità piú importante».

Quando si parla di Buddhismo si pensa soprattutto all’India, alla meditazione («una pratica per approfondire come funziona l’Universo, che senza morale non vale però nulla»), all’attività di personaggi pubblici (un esempio per tutti? Richard Gere). Ma cosa è che attrae tanto di questo pensiero, soprattutto nei paesi occidentali? Difficile spiegarlo, afferma il professor Gombrich. «Negli Stati Uniti, in particolare in California, è diventata una moda». Negli Usa, evidenzia il professor Gombrich, «è cresciuta l’idea che bisogna fare del bene agli altri, e tra gli altri ci sono io. Questo è sciocco, non posso esistere in due persone». Il Buddhismo, poi, non è psicanalisi. Per non parlare della non violenza: «Tanto interesse per questo aspetto, poi si scopre come funziona in certi Paesi e...». Il Buddhismo, insomma, come modo di vivere. Perché, in fondo, quello che risulta piú importante non è la dottrina, ma come ci si comporta. Possibilmente bene. E ringraziando. «Quando faccio un dono a un monaco, sono io a ringraziare lui per avermi concesso la possibilità di fare del bene».

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