Ha origine fenicie la crudele pena della crocifissione
La crocifissione, di origini fenicie, fu introdotta in Palestina dai romani per colpire condannati privi di cittadinanza romana e sentenziati per i reati più gravi. Cicerone la definì «il supplizio più crudele e raccapricciante».
V’erano tre tipi di croce: quella a T, quella greca a X e infine quella - usata per Gesù - latina (chiamata immissa o capitata): il palo verticale (stipes) era di solito già piantato in terra, mentre quello orizzontale (patibulum) veniva aggiunto dopo, di solito dopo avervi inchiodato e/o legato ai polsi il condannato. Circa a metà dello stipes poteva essere posto un sedile su cui poggiava a cavalcioni il crocifisso (cruciarius), onde evitare che mani o polsi si lacerassero per il peso del corpo; un’altra ipotesi è che i piedi venissero inchiodati (con un chiodo solo oppure uno per caviglia, in questo caso forse ai lati del palo verticale) a un poggiapiede (suppedaneum).
Lo stipes era piantato in un luogo bene in vista, affinché la pena avesse un effetto esemplare. Alcuni soldati, comandati da un centurione, scortavano il cruciarius al luogo dell’esecuzione dopo avergli posto sulle spalle il patibulum, mentre la tavoletta recante gli estremi del reato (titulus) poteva essergli appesa al collo, se non era portata da un incaricato. Il crocifisso era bersaglio di angherie, scherni e insulti anche quando, probabilmente del tutto nudo, veniva issato sullo stipes, e poteva resistere a lungo in quella posizione, fra atroci tormenti, fino alla morte per dissanguamento, febbre, disidratazione, soffocamento, infarto, infezione e/o altre cause. I carnefici potevano in alcuni casi accelerare il decesso, in genere spezzando i femori della vittima (crurifragium), ma ciò non avvenne con Gesù, che morì prima (e così - secondo il Vangelo di Giovanni - si realizzò una profezia contenuta nel Salmo 34).
All’epoca e nei luoghi di Gesù i defunti venivano lavati e avvolti in fasce con aromi profumati e antisettici, quali misture di mirra ed aloe, e venivano collocati nel giorno stesso della morte in fossati o spelonche nei pressi del centro abitato. Le famiglie meno abbienti, invece, inumavano i morti posando in genere sul terreno la bara, poi ricoperta di terra e/o di calce e circondata da pietre. Erano dunque i più altolocati a possedere tumuli scavati nella roccia, nei quali vi era di solito una camera funeraria con uno o più loculi (uno solo, pare, nel caso di Gesù) che ospitavano la salma e potevano essere preceduti da un atrio comunicante tramite un uscio stretto, sbarrato verso l’esterno con una grossa pietra circolare scorrevole lungo un canaletto. Tale pietra, nel caso di Gesù, era stata sigillata tendendo alcune corde e fissandone i capi alle pareti del sepolcro per garantirne l’inviolabilità: ciò - come riferisce il Vangelo di Matteo - avvenne su richiesta di capi sacerdoti e farisei, secondo i quali i discepoli di Gesù avrebbero potuto rubare il corpo del Maestro per far credere che fosse risorto…
Il fatto, poi, che Gesù sia stato posto in un sepolcro per benestanti, si spiega con l’iniziativa di Giuseppe di Arimatea, uomo ricco e devoto che ottenne da Pilato il corpo del Maestro e lo sistemò nel sepolcro nuovo predisposto per il giorno della propria sepoltura. E così facendo si compì - nell’ottica cristiana - una profezia del capitolo 53 del libro di Isaia. —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto