Il 900 di Mussolini e Lenin, i primi capi rivoluzionari

Da una parte Mussolini, ritratto da Primo Conti ne “La prima ondata in groppa a un cavallo bianco a guida delle sue squadre nere che calpestano un drago rosso”; dall’altra Lenin lui pure in atteggiamento da condottiero faccia al vento come sulla tolda di una nave in mezzo a un mare di bandiere rosse della rivoluzione.
E partendo proprio dell’iconografia che ha immortalato, accomunandoli nell’atteggiamento fiero e vittorioso, gli artefici dei primi regimi totalitari della modernità, lo storico Emilio Gentile, professore emerito alla Sapienza di Roma, svilupperà la sua Lezione di Storia nell’Arte, in programma domenica alle 11 al Giovanni da Udine. “Mussolini contro Lenin”, questo il titolo dell’ultimo libro di Gentile e anche dell’incontro nel corso del quale ripercorrerà il rapporto tra questi due capi rivoluzionari.
Due quadri, che si corrispondono, nel suggerire un’idea epica della presa di potere da parte dei due. Fu veramente così? «Non fu veramente così: non ci fu niente di così eroico e di così epico. Lenin arrivò a conquistare il potere travestito, senza barba e baffi, con una parrucca, viaggiando in tram e a piedi e raggiunse palazzo Smolny a Pietrogrado dove la notte del 24 ottobre 1917 Trotsky aveva iniziato il colpo di stato. Non fu Lenin a guidare le masse tumultuose, ma non ci furono nemmeno le masse perché tutto si svolse mentre la città continuava a vivere normalmente». «Per Mussolini – continua Gentile – fu la stessa cosa. Ci fu una mobilitazione delle squadre fasciste in molti centri del Nord, ma in realtà Mussolini giunse a Roma in vagone letto la mattina del 30 ottobre per ricevere l’incarico dal re. Nè l’uno né l’altro, alla fine furono a capo di masse lanciate alla presa del potere».
Quale fu, se ci fu, il rapporto tra loro? «Ho documentato nel mio libro un incontro tra i due avvenuto in Svizzera il 18 marzo 1904 a Ginevra in una birreria per la commemorazione della Comune di Parigi. Mussolini stesso ne parla in una cronaca per un giornale socialista italiano, raccontando come alla fine dei discorsi cantarono insieme socialisti italiani e russi inneggiando alla vittoria del socialismo. Cantare in coro del resto piaceva molto a Lenin, a conclusione delle riunioni».
Mussolini imitatore di Lenin? «No! I due regimi non furono fratelli-nemici: il primogenito comunista non insegnò al secondogenito fascista, divenuto suo rivale, il metodo per distruggere la democrazia e istituire il regime a partito unico. Mai Mussolini considerò Lenin e il suo regime come esempi da imitare.
Al contrario. Fin dal 1920 Mussolini condannò il regime di Lenin come una dittatura di fanatici intellettuali imposta col terrore sul proletariato, considerò fallito l’esperimento comunista». «Va inoltre sottolineato – ancora Gentile – che in quel periodo Mussolini odiava Lenin e il bolscevismo perché all’epoca (1920) difendeva la democrazia parlamentare, le libertà civili e l’individuo contro le ingerenze dello Stato. Tutto l’opposto di quello che farà una volta al potere».
Nei quadri da lei scelti per la sua lezione all’epicità della posa si accompagna anche l’idea del capo carismatico. «Nel 1917 per Lenin e nel 1922 per Mussolini non si può ancora parlare di un potere carismatico. Lenin fu spesso contrastato dai suoi compagni bolscevichi fino all’ultimo momento, quando decise che bisognava tentare l’insurrezione, il colpo di Stato.
Quanto a Mussolini non fu lui a insistere per la marcia su Roma, ma Michele Bianchi, allora segretario del partito. In quel momento né Lenin né Mussolini avevano ancora un potere carismatico incondizionato». Perché nei corsi e ricorsi della Storia si ripresenta puntualmente il bisogno della figura carismatica, dell’uomo forte? «Il bisogno e l’idea dell’uomo forte si lega sempre a situazioni di crisi. Ma non necessariamente l’uomo forte le risolve in modo dittatoriale come Lenin e Mussolini, ci sono stati uomini forti e carismatici che hanno salvato la democrazia parlamentare e penso a De Gaulle e a Churchill».
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