Il caso Moby Prince e i 5 morti friulani: l’ombra della mafia in un nuovo libro

Era la notte del 10 aprile 1991 quando, nella rada di Livorno, si consumò la più grave tragedia della marina civile e uno dei più grandi misteri irrisolti italiani. Nella collisione tra il traghetto Moby Prince, diretto a Olbia, e la petroliera Agip Abruzzo morirono 140 persone. Personale dell’equipaggio e passeggeri che stavano tutti viaggiando a bordo del traghetto, che si incendiò. Tra le vittime, anche cinque friulani: Antonio Gabelli, 72 anni, originario di Mortegliano, era titolare di un’azienda che produceva componenti per mobili (la Alpea); la sua seconda moglie, Adriana Botturi, 60 anni, originaria di Brescia; Rino e Ranieri Trevisan, padre e figlio di Spilimbergo, di 58 e 30 anni, e il quarantenne Gavino Bianco, originario di Grado e assunto come cameriere nel Moby Prince.
Trent’anni senza alcun colpevole per la giustizia italiana, trent’anni di silenzi nonostante processi, indagini e una commissione parlamentare d’inchiesta. Trent’anni di attese, finora vane, per i parenti delle vittime. Sulle cause di quel disastro si è interrogato anche il giornalista e autore Rai Federico Zatti, lombardo ma cresciuto a Pisa, che nel suo libro fresco di stampa “Una strana nebbia. Le domande ancora aperte sul caso Moby Prince” (edito da Mondadori) ipotizza, capovolgendo le precedenti inchieste e argomentazioni, un dirottamento e la mano della mafia in una guerra per il controllo del petrolio (passando prima per quello della polvere di marmo di Carrara utilizzata per il calcestruzzo), un settore sul quale avrebbe puntato sostenendo Montedison contro l’Eni per il controllo di Enimont.
Sono trascorsi tre decenni dalla tragedia del Moby Prince e siamo ancora al punto di partenza?
«Per 28 anni è stata declassata a semplice incidente. Ma dietro, in realtà, c’è ben altro. Per tutto questo tempo, avevano retto due pilastri: la nebbia e una distrazione generalizzata della plancia del Moby Prince. Tesi, queste, che sono state per fortuna distrutte dalla commissione parlamentare d’inchiesta al Senato, conclusa nel 2018, che ha dato una nuova interpretazione ai fatti aprendo, di fatto, un campo sterminato di domande e nuove ipotesi. Da giornalista, leggendo gli atti, i documenti delle perizie, le audizioni della commissione ho riscontrato diversi aspetti che non tornano, dalla dinamica alla gestione dei soccorsi».
Sono molti, infatti, gli interrogativi ancora aperti...
«Esatto. Se non c’era nebbia e neppure l’elemento della distrazione, com’è che una nave che esce da uno dei più grandi porti d’Italia va a sbattere contro una petroliera ferma all’ancora? Com’è possibile finire, contro un mostro gigantesco come l’Agip Abruzzo? Difficile pensare che un comandante esperto come Ugo Chessa non si sia accorto... E, ancora, abbiamo la registrazione radio del canale delle emergenze, con la colonna sonora del disastro: mette i brividi ascoltare le voci di quel momento, ma manca quella del Moby Prince tanto da far dire al presidente della commissione di inchiesta Silvio Lai che è stato trovato “per caso”, non essendoci state subito indicazioni precise sul la sua posizione».
Quali le nuove ipotesi?
«Non c’è stato un soccorso immediato al traghetto inghiottito dalle fiamme, che potrebbe essere stato dirottato contro la fiancata della petroliera e questo spiegherebbe anche il silenzio radio dopo il “mayday” del Moby Prince. I dirottatori si sarebbero poi calati e una barca li avrebbe recuperati, in base a una successiva testimonianza. Ci sono inoltre molti elementi che fanno pensare che all’interno ci fosse stata una bomba, ordigni che riportano al terrorismo e alla mafia. Come si giustifica la presenza di esplosivo militare? La deflagrazione sarebbe stata voluta, allo scopo di incendiare l’Agip Abruzzo».
Nel libro c’è un cambio di prospettiva?
«Finora la vicenda è stata sempre raccontata dal punto di vista del Moby Prince, invece nel libro cerco di raccontare l’altro protagonista: la petroliera Agip Abruzzo. Cosa trasportava esattamente? Nafta, come indicato dallo stesso comandante Renato Superina che, a un certo punto dirà: “Abbiamo nafta a bordo”. All’epoca dei fatti, però, si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere
Una nuova commissione parlamentare per chiarire una volta per tutte i contorni di quella che è stata definita l’Ustica del mare?
«Adesso è ancora tutto aperto. M5s, Lega e Pd hanno chiesto alla Camera una nuova commissione di inchiesta che parta dalle conclusioni della prima commissione al Senato. L’obiettivo sarà di ricostruire quanto accaduto quella notte di trent’anni fa e consegnare la verità ai parenti delle 140 vittime del disastro». —
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