Il collaborazionista udinese Aurelio Gallo, l’ultimo condannato a morte in Italia
Si chiamava Aurelio Gallo ed era brutto e cattivo. D’accordo, brutto non sappiamo se lo fosse, ma cattivo lo era, eccome! E fu lui, udinese doc, l’ultimo condannato alla pena di morte in Italia. Il Gallo, da giovanotto fece l’autista e poi l’ufficiale di collegamento delle SS. Nel 1947, si trasferì a La Spezia diventando capo di un sedicente “servizio investigativo autonomo” al comando provinciale della Guardia nazionale repubblicana.
Lui, assieme a due compari, Emilio Battisti di Trento, ex maresciallo della Gnr e questore della città ligure, e Aldo Morelli, anch’egli ex maresciallo, istituirono la famigerata “Banda Gallo”, condannata tutta intera alla morte, nel maggio del 1946, dalla Corte d’Assise spezzina.
I capi d’accusa? Collaborazionismo, responsabilità nelle deportazioni nei campi di sterminio, stragi, ed efferate torture. Insomma, negli ultimi mesi dell’occupazione fascista, i tre infierirono a tal punto contro la popolazione e i partigiani, da seminare il terrore su tutto il litorale.
Si chiamava “lo scannatoio” la stanzetta dove Gallo e i suoi sodali aguzzini “interrogavano” i prigionieri. Lì dentro, le nerbate piovevano a dirotto e così i colpi di catena, i pugni e i calci. Quando l’udinese, grondante di sudore, si sedeva in poltrona, a battere le vittime come polpi ci pensava il resto della banda. Al Gallo spettava l’onore del gran finale, ovvero: attaccare la corrente ai testicoli del prigioniero. Chi sopravviveva a quell’inferno veniva infine deportato in Germania. Ecco che, alla fine della guerra, il popolo si sollevò a gran voce chiedendo giustizia!
Quando il 6 maggio del 1946 si celebrò il processo, la tensione era alle stelle. Per le donne sedute nelle prime file, madri, spose e sorelle, non fu facile ascoltare i raccapriccianti racconti di ben 120 testimoni, ed alcune svennero. Quando la Corte, il 14 maggio, sentenziò per i tre imputati la pena capitale, l’intera Liguria esultò in un unanime grido di gioia; stile Tardelli nell’82!
I cattivi hanno la scorza dura, è ben vero, perché la banda “rischiava” la grazia. Numerosi, infatti, furono i tentativi di dare un colpo di spugna alla sentenza. Ricordiamo, infatti, che la Costituzione italiana, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948, accogliendo e istituzionalizzando un convincimento e una prassi già diffusi, abolì definitivamente la pena capitale per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di pace. Ma nel caso dell’udinese e della sua banda, la “sovranità” del popolo si impose e prevalse, e la condanna dei tre fu dunque un’eccezione.
Il 5 marzo del 1947 alle 5.30 del mattino, al forte di Bastia, tre sedie costruite ad hoc aspettavano Gallo e i compagni di merende. Come prescritto dalla sentenza, la fucilazione doveva essere alla schiena. Prima di sedersi ed essere bendato, l’udinese volle provocatoriamente abbracciare il commissario “Alberto”, il partigiano che lo catturò. Nell’attimo in cui i grilletti furono tirati, i tre condannati gridarono: «Viva l’Italia! Viva il Duce! Viva il Re! E – già che c’erano – Viva il Papa!». E poi fu il fuoco.
Non si può dire che i carabinieri, a onta del nome, brillassero per la mira, perché a morire di colpo fu soltanto il Morelli, mentre Battisti rimase ferito e Gallo illeso. In quel frangente, “il terribile torturatore”, così era noto il nostro baldo corregionale, disse: «A questo punto dovreste graziarci ma… vedete voi, in coscienza». E, in tutta coscienza, un ufficiale li freddò con la sua Beretta 34.
I corpi furono ricomposti e chiusi nelle bare, le tre sedie bruciate. Quando furono seppelliti in tre fosse anonime al cimitero di Boschetti, un’invasione di donne della frazione di Migliarina e altri attivisti invasero il Camposanto. Volevano vedere le salme e accertarsi che fossero davvero quelle dei massacratori. La tensione era tale, che i magistrati ritennero più prudente assecondare la folla. Le bare furono disseppellite e aperte. E i cadaveri vilipesi con sputi e calci.
Il giorno dopo gli strilloni annunciarono: “Fucilazione di tre barbari”. E i giornali andarono a ruba.
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