Il conduttore tv Massimo Bernardini:«La storia ci aiuta a capire il presente e a non ripetere gli stessi errori»

Valerio Marchi

Martedì 6 settembre, alle 18.30, nella cornice di palazzo Garzolini di Toppo Wassermann a Udine, con accesso libero fino ad esaurimento posti, si svolge la cerimonia di premiazione del Friuli Storia 2022. I finalisti – Claudia Weber (vincitrice), Paolo Macry e Gianluca Falanga – dialogheranno sul tema “Le forze della storia: passione, ideologia e politica” assieme al noto giornalista e conduttore televisivo Massimo Bernardini, che abbiamo intervistato.

Bernardini, conosceva già il Premio Friuli Storia?

«Ne avevo sentito parlare, e mi ha piacevolmente sorpreso il fatto che anni dopo la conclusione del programma Rai “Il Tempo e la Storia”, che ho condotto fino al 2016, ci si sia ricordati di me per un’occasione così importante».

Evidentemente quel programma ha lasciato il segno, se storici di professione hanno rivolto a lei, che è giornalista, questo invito. Ma cosa significa, per lei, essere giornalista?

«Essenzialmente, essere curiosi della realtà e mettere in gioco la propria curiosità affinché il pubblico accenda la sua. Io non faccio giornalismo d’inchiesta né di cronaca… il mio è un giornalismo di divulgazione».

E lei è fra quanti hanno dimostrano che una buona divulgazione può – anzi, forse deve – andare di pari passo con la scienza storica. Qual è dunque il suo rapporto con la storia?

«Per me è una scoperta continua. Sfogliando i tre libri finalisti del Premio, ad esempio, trovo conferma di quanto sia affascinante trovare cose che non ci ricordavamo o che non abbiamo mai saputo, oppure venire a conoscenza di scoperte che gettano nuova luce su aspetti del passato».

La “molla”, dunque, è sempre la curiosità?

«Certamente. D’altronde, uno fa il giornalista perché desidera occuparsi di tante cose, suscitare domande e stimolare l’interesse del pubblico. E credo che sia magnifico per uno storico quando indaga per mesi e anni, con sacrifici e pazienza, e poi scopre una pista e trova una chiave per comprendere un fenomeno, un personaggio, una situazione».

Cosa ha apprezzato di più negli storici che ha incontrato?

«In primo luogo la capacità di presentare i fattori fondamentali e un quadro generale, il contesto di un momento storico, di un passaggio, di un avvenimento, mettendo in ordine tanti tasselli e aiutandoci a uscire dalla frammentarietà. Poi c’è anche chi da un frammento, da un particolare, è capace di cogliere e spiegare un’epoca».

Ha constatato atteggiamenti differenti fra gli storici?

«Certamente sì. C’è, ad esempio, chi sta sul suo podio e dispensa dall’alto il suo sapere, mentre altri “spezzano il pane” della loro competenza con il pubblico, dimostrando vocazione pedagogica e notevole capacità comunicativa».

Negli ultimi tempi iniziative quali lo stesso Premio Friuli Storia, i vari festival di storia, alcuni programmi televisivi di spessore o, ancora, le lezioni di storia a teatro, hanno riscosso un ampio successo di pubblico.

«Ecco, questo è un fenomeno che incoraggia e che consola: vedere piazze intere “stregate” dalla semplice e pacata parola degli esperti, per confrontarsi con argomenti tutt’altro che banali, e spesso impegnativi, è una delle migliori novità degli ultimi vent’anni».

Anche il Friuli Storia vive del connubio fra storici di professione e un pubblico sempre più numeroso, composto da lettori navigati ma anche da altri alle prime armi...

«Ciò riconferma che ci sono ancora passioni vere per la conoscenza, e che non tutto è perduto: evidentemente, c’è ancora un’enorme riserva di voglia di leggere, di capire, di non accontentarsi della superficialità».

Ma alla fin fine la storia è, come si usa dire, “maestra di vita”?

«Senz’altro la storia aiuta a capire il presente; dunque insegna, è “maestra”, ma il cuore dell’uomo è da sempre un impasto di bellezza e miseria, ed è un po’ restio ad imparare… Anche leggendo i tre libri finalisti mi colpisce constatare che dagli errori del passato qualcosa abbiamo appreso, sì, ma in certi errori siamo ricaduti».

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