Il Cristo nero di Codroipo: una mostra e un catalogo per riscoprire il crocifisso
Scolpito in legno cirmolino e inverniciato di nero, raffigura il Cristo morto, per il capo reclinato in avanti, gli occhi chiusi, le braccia tese, le palme aperte, e le ginocchia che hanno ormai ceduto al peso del corpo inerte. Fino al 16 marzo l’esposizione nella cappella in duomo.

Ampia e sentita è la devozione per il Crocifisso che dal 1808 si conserva a Codroipo, nuovamente al centro dell’attenzione per una serie di eventi legati alla sua ostensione in duomo, chiesa giubilare da oggi al 16 marzo.
Universalmente noto come il Cristo nero, ora una pubblicazione e una mostra allestita nella cappella adiacente al duomo stesso ne illustra la storia, ricostruendo il viaggio che da Venezia lo ha portato fino a qui, in un più ampio contesto di incontri, letture, concerti, che culmineranno domenica 16 marzo con la processione solenne del Crocifisso, oggetto ogni 25 anni di celebrazioni votive.
Scolpito in legno cirmolino e inverniciato di nero, raffigura il Cristo morto, per il capo reclinato in avanti, gli occhi chiusi, le braccia tese, le palme aperte, e le ginocchia che hanno ormai ceduto al peso del corpo inerte.
Se il suo volto, incorniciato da composte ciocche e da una fitta barba, esprime un dolore composto, la gabbia toracica in evidenza e l’addome incavato ne riassumono tutta la sofferenza, drammaticamente evidenziata dalla luce che scorre sulla sua nera e lucidissima anatomia scarnificata.
La croce, in legno di tiglio, rivestita da targhette votive in argento, è scolpita come il tronco di un albero nodoso, a richiamare il lignum vitae, sorgente di vita, così come il pellicano al vertice sta a simbolizzare il sacrificio estremo sulla croce del Figlio di Dio per riscattare il peccato e nutrire, come il pellicano con i suoi piccoli, col proprio sangue il genere umano.
L’importante scultura proviene dalla Scuola di San Fantin a Venezia, fondata dall’unione delle due confraternite di Santa Maria della Giustizia o della Buona morte, e di San Girolamo.
Si tratta di una delle scuole grandi, detta “dei picai” o della Buona Morte, o meglio di San Fantin dalla contigua chiesa dove inizialmente i confratelli si riunivano prima di erigere una sede propria, che danneggiata dal fuoco nel 1562, venne ricostruita a fine cinquecento da Antonio Contin, con l’intervento di Alessandro Vittoria: due crocefissi ne accompagnavano le funzioni, nero per le esecuzioni e bianco per le sepolture, e il corteo diretto alla forca che veniva eretta nella poco lontana piazzetta di San Marco, tra le due colonne, era aperto proprio dal Cristo nero, e a seguire, tra ceri neri, i confratelli in cappa nera con ricamato un crocefisso.
In seguito al decreto napoleonico di soppressione di chiese e conventi che coinvolse la stessa Scuola di San Fantin, ora sede dell’Ateneo Veneto, l’ultimo suo cappellano, don Leandro Tiritelli, originario di Flaibano, ottenne il Cristo nero in dono dal vicerè Eugenio per portarlo nella chiesa di Codroipo all’epoca retta da suo fratello, Don Zaccaria.
Giunto il primo dicembre del 1808, il Crocifisso venne collocato su un apposito altare eseguito tra il 1850 e il ‘51 da Andrea Scala, con ai lati due sagome raffiguranti la Vergine e San Giovanni Evangelista che si richiamano a quelle bronzee già a corredo dell’antico altare del Crocifisso della sala terrena di San Fantin e ora conservate nella chiesa di San Giovanni e Paolo a Venezia, opera di Alessandro Vittoria. Di fatto la sua esecuzione è antecedente all’opera dello scultore e si fa risalire alla fine del XV secolo.
Molto opportunamente questa singolare presenza a Codroipo è raccontata dello stesso parroco, monsignor Ivan Bettuzzi, coadiuvato da Gabriele Pighin e con la consulenza scientifica della restauratrice Alessandra Bressan, in un volume accompagnato da un importante corredo fotografico edito con il contributo della Fondazione Friuli e di altre banche del territorio, rendendo nota l’ampia documentazione che lo ha accompagnato nei secoli. Oggetto di indagini diagnostiche nel 2003 con il supporto della Scuola di restauro di Villa Manin di Passariano, il Cristo aveva rivelato tracce di un preesistente cromatismo sotto il nero di vite, il pigmento naturale derivato dai tralci combusti che ne rendono l’epidermide di finto ebano, facendo presupporre una precedente vita ancora palpitante sotto la nera epidermide del Crocifisso, aumentando l’alone di mistero che ancora circonda questa straordinaria scultura.
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