Il “generale fucilatore” e l’avvocato toscano: un processo militare che diventò un caso

Un volume ricostruisce una vicenda avvenuta nel 1918. Antagonisti Andrea Graziani e Pietro Calamandrei

Otto soldatini di retrovia, anzianotti e meridionali, vennero mandati in prima linea nel giugno del 1916, sul Pian delle Fugazze, tra Veneto e Trentino, dov’era in atto l’offensiva nemica. Era notte, gli otto si persero non conoscendo il luogo, il mattino dopo furono trovati accucciati dietro un muretto.

Mandati subito a combattere (e i loro compagni, accomunati nello stesso destino, persero la vita), dopo quindici giorni finirono con l’accusa di codardia davanti a un tribunale straordinario, di quelli convocati in fretta e furia, giusto come formalità, tanto tutti sapevano (imputati per primi) che l’udienza sarebbe finita con la fucilazione dei soldatini.

Invece quel giorno incredibilmente non andò così perché, unico caso di cui si abbia piena conoscenza, venne invece affermata l’incompetenza di quel tribunale straordinario e il processo rinviato a un tribunale militare che, in condizioni meno precarie e più giuridicamente corrette, assolse poi i militari. Vicenda questa che viene ancora analizzata e studiata per raccontare le modalità della terribile giustizia militare italiana durante la guerra, come avvenne (per citare un caso che da anni fa discutere in Friuli) con gli alpini fucilati a Cercivento nello stesso periodo, luglio del 1916.

Questa storia risulta straordinaria pure per le personalità dei due personaggi principali che si vennero a contrapporre in giorni di grande tensione. Il comandante della 44esima divisione era il generale Andrea Graziani, veronese, un uomo tutto d’un pezzo come si suol dire, che aveva dato prova di sé dirigendo i soccorsi dopo il terremoto di Messina, nel 1908. In guerra fu uno dei nostri comandanti più controversi e discussi, tra consensi e odio. Era conosciuto dalla truppa come “il generale fucilatore” per la facilità con la quale mandava i militari davanti al plotone, sorte che per esempio toccò a un fante che un giorno sfilò davanti a lui con il sigaro in bocca.

E il suo antagonista sul Pian delle Fugazze fu Pietro Calamandrei, fiorentino, giovane avvocato, che in seguito divenne giurista di assoluto rilievo e, dopo il 1945, uno dei protagonisti nella politica nazionale come fondatore del Partito d’azione e componente dell’Assemblea costituente.

Proprio a lui venne affidato quel giorno la difesa dei soldatini e a lui Graziani diede un compito preciso: «Si ricordi che almeno uno bisogna fucilarlo per dare un esempio». Invece l’avvocatino toscano salvò tutti contestando con passione e perizia la legittimità di tal modo di procedere, tra la sorpresa dei presenti, soldati compresi. Uno dei cinque giudici, clamorosamente, gli diede ragione bloccando così il processo.

Immaginabile la rabbia del “generale fucilatore”, che promise a Calamandrei, quale punizione, di sbatterlo subito in prima linea, come vittima sacrificale sotto il fuoco nemico. Minacce rimaste senza esito al punto che l’avvocato, nel 1918, fu invece il primo ufficiale italiano a entrare a Trento liberata, togliendo tale gioia al generalissimo.

Questa storia è narrata in un libro pubblicato ora dall’editore Gaspari di Udine nella collana “Rileggiamo la Grande Guerra”: Si intitola Vite parallele. Il generale Graziani e Pietro Calamandrei. Lo ha scritto (con prefazione di Alberto Monticone) Paolo Gubinelli, magistrato di Ancona, già autore di altri saggi su queste tematiche. Le strade dei due protagonisti si incroceranno davvero in qualche modo fino all’epilogo, nel 1931 in Toscana dove Calamandrei insegnava all’università e dove Graziani morì cadendo da un treno in corsa.

Fatto misterioso, mai chiarito. Divenuto un pezzo grosso nell’ambito del regime fascista, Graziani aveva le tasche piene di soldi. La sua morte fu un incidente? Un omicidio? Durante il viaggio qualcuno, forse qualche reduce della guerra, lo aveva riconosciuto?
 

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